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Mobilità condivisa: la terza via dei trasporti

By Massimiliano Villani on 6 Novembre 2019
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Mobilità condivisa: la terza via dei trasporti

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Auto private, mezzi pubblici e…sharing.

Ormai la condivisione dei mezzi di trasporto, siano essi macchine, motorini, bicilette e, tra poco, monopattini o mono-ruota, è diventata la terza via della mobilità, soprattutto nelle grandi Città.

Uno degli ultimi trend in tema di trasporti è proprio la diffusione del bike sharing a flusso libero che, un po’ in tutto il mondo, ha modificato le abitudini di mobilità di moltissime persone: infatti, anche chi non ha mai utilizzato la bicicletta per muoversi in città si è avvicinato al mondo delle due ruote, sia per la facilità di utilizzare le bici, sia per la comodità di lasciarle un po’ ovunque, senza l’obbligo del riposizionamento forzato.

Come sempre capita in occasioni di grandi novità, anche a livello culturale, che modificano lo status quo delle cose, i problemi non sono mancati e non mancano: la libertà di lasciare la bici in qualsiasi spazio pubblico ha creato fin da subito alcuni grattacapi legati alla gestione dei marciapiedi, delle piazze e degli attrattori di traffico che, in pochissimo tempo, si sono ritrovati invasi dalle bici.

E’ logico che le Amministrazioni comunali interessate dal fenomeno dovranno lavorare e non poco sia sul fronte della prevenzione di condotte illecite, sia su quello puramente repressivo, ma anche sul versante normativo andrà fatto qualcosa per regolamentare un fenomeno che, comunque lo si voglia ritenere, è inarrestabile.

Interessante sarebbe capire, ad esempio, di quanto cala l’uso delle auto quando hai a disposizione anche una bicicletta.

La società Uber che a Roma ha da poco inaugurato, con l’Amministrazione Raggi, il servizio di sharing denominato “Jump” di biciclette a pedalata assistita, è stata tra le prime a rendere noti alcuni importanti dati.

Dati che, ad oggi, riguardano solamente gli utenti Uber di San Francisco che hanno effettivamente usato bici JUMP tramite la app di Uber, per almeno due volte.

Per questi utenti, gli spostamenti prenotati tramite l’app (Uber + JUMP) sono aumentati del 15%, con gli spostamenti in auto che in media sono calati del 10%, o addirittura del 15% nelle ore di punta: la bici ha quindi sostituito l’auto e anche altri spostamenti che prima non venivano fatti tramite l’app.

Ed è lecito pensare che ci sia una grande domanda di mezzi ancora non soddisfatta, in quanto la disponibilità di bici JUMP è molto limitata: solamente 250 esemplari in tutta San Francisco.

Gli altri dati diffusi riguardano l’orario di uso delle bici: il 69% degli spostamenti in bici avviene durante il giorno, fra le 8 di mattina e le 6 del pomeriggio, come a dire che esiste comunque una preferenza per la bici quando c’è bisogno di arrivare velocemente a destinazione, senza rimanere imbottigliati nel traffico.

E mentre a Roma con il servizio “Jump” si è riscommesso su questo tipo di mobilità, peraltro nemmeno ad un costo tanto economico per gli utilizzatori (20 centesimi al minuto e 5 centesimi per lo sblocco), a Londra già nel 2017 il bike sharing a flusso libero fu oggetto di alcuni “aggiustamenti”, attraverso la dettagliata regolamentazione del settore, per cercare di minimizzare i problemi riscontrati

Tre sono i punti più interessanti che emergono dalla lettura del “Code of Practice” londinese: le aziende del bike sharing a flusso libero devono presentare un piano operativo preciso prima di iniziare la loro attività;
devono essere in grado di gestire i flussi, rimuovendo rapidamente eventuali bici in eccesso; devono condividere con le autorità i dati sugli spostamenti dei ciclisti, in forma anonima.

Tutto ciò partendo da un dato oggettivo: Londra ha sempre voluto che più cittadini si spostassero a piedi o in bici, e il bike sharing a flusso libero è stato ed è uno strumento utile a questo scopo.

Quindi, una volontà politica ben precisa e regole ben definite.

Da noi. alcune città del centro-nord hanno già avviato dei progetti e Roma, dopo la negativa esperienza con O-bike, sta provando nuovamente ad approcciare al servizio con paletti rigidi e ben definiti (ad esempio l’obbligo di garantire la possibilità di geolocalizzare, in tempo reale, i mezzi impiegati attraverso sistemi GPS), riconoscibili già dall’avviso per la manifestazione di interesse per l’individuazione dei soggetti interessati ad attivare il bike sharing a flusso libero, pubblicato a fine agosto scorso (che poi ha portato sulle strade le bici di Uber).

Insomma, dalle nostre parti siamo ancora all’inizio della rivoluzione nella mobilità sostenibile, ma i decisori politici hanno di fronte una sfida fondamentale: gestire il cambiamento e non subirlo.

Come?

Mettendo al centro l’essere umano e tutte le sue esigenze di socialità, movimento fisico, mobilità rapida e efficiente: in questo modo le città che saranno in grado di farlo saranno le più dinamiche, le più connesse, le più vivibili.

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