Tuesday, May 14, 2024

Fiscal Compact

image_pdfimage_print

Europa_bandiera14Cosa condizionerà la nostra vita in futuro.

Siamo nel pieno della campagna elettorale per il rinnovo del parlamento europeo. I leader e i maggiori esponenti politici dei partiti in lizza imperversano ovunque, in tutte le trasmissioni televisive, nelle piazze e addirittura nei cantieri. C’è chi attacca l’euro, chi se la prende con la Germania, chi invece preferisce gridare al complotto e infine chi tenta di limitare i danni cercando di convincere gli elettori che una revisione delle scelte passate è possibile. A prescindere da come la pensino tutti, i discorsi pro o contro l’Europa fanno un uso o un abuso spropositato del termine inglese fiscal compact. Ma che cosa si nasconde dietro questa parola?

Innanzitutto  per fare chiarezza dovremmo parlare di Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione Europea. Accordo europeo firmato il 2 Marzo 2012 da 25 paesi dell’UE tra cui l’Italia. Gli unici paesi a non firmarlo sono stati  la Gran Bretagna, guidata dal conservatore David Cameron e la Repubblica Ceca. Il nostro paese ha approvato il trattato al Senato il 12 Luglio 2012 e alla Camera dei Deputati il 19 Luglio 2012.

Alla base di questo accordo c’è l’esigenza di rafforzare gli obiettivi di stabilità economica e finanziaria dell’Unione Europea attraverso il rispetto di alcune regole vincolanti per tutti i paesi dell’unione. I sostenitori dei «conti in ordine» sono fermamente convinti che l’equilibrio finanziario dei bilanci sia una condizione essenziale per affrontare al meglio gli effetti negativi dei cicli economici. Per amore della verità non tutti gli economisti ed esperti di politiche pubbliche condividono il proposito. Molti pensano che in periodi di grandi crisi l’obiettivo fondamentale sia  la riduzione della disoccupazione attraverso l’aumento della spesa pubblica che può aumentare deficit e debito pubblico. Il grande economista Keynes sottolineava come ci si dovesse occupare dei «conti in ordine» solo in periodi di crescita economica sostenuta.

Sono molti i precetti e le definizioni  che si possono estrapolare dalla lettura dei 16 articoli che compongono il Trattato, i più significativi possono essere sintetizzati in questa lista:

1. Il bilancio delle amministrazioni pubbliche deve essere in pareggio o in avanzo. Il pareggio dei conti è rispettato se il saldo strutturale annuo è pari all’obiettivo di medio periodo specifico per il paese. E’ previsto un margine di sforamento della regola nella misura dello 0,5% del Pil a prezzi di mercato per gli stati che hanno un rapporto debito pubblico/pil maggiore del 60%, per gli altri esiste la possibilità di un sforamento dell’1%. Per saldo strutturale annuo si intende il saldo annuo corretto per il ciclo al netto di misure una tantum e temporanee. L’obiettivo di medio periodo diverso per ogni singolo paese europeo può essere modificato in base a circostanze eccezionali.

2.  I paesi con un rapporto debito pubblico/pil superiore al 60% hanno l’obbligo, da rispettare in 20 anni, di  ridurre il  rapporto nella misura di un ventesimo della parte eccedente il parametro di Maastricht, ovvero eccedente il 60%.

3. Il piano d’emissione del debito pubblico dei paesi aderenti al Trattato deve essere coordinato con il Consiglio dell’Unione e con la Commissione Europea.

Seguendo la campagna elettorale è il punto 2 della lista che suscita più preoccupazioni e risentimenti nei confronti delle istituzioni europee. Il rispetto di tale punto viene considerato una salasso per i cittadini italiani. Le cifre che girano in rete o in tv nei talk show,  si attestano all’incirca tra i 40 e 50 miliardi di euro di risparmi pubblici o aumenti della tassazione per il primo anno. Prendendo le stime del Fondo Monetario Internazionale per l’economia italiana nel 2014 otteniamo il seguente risultato che molto si avvicina alle cifre dichiarate dai politici.

( D )

Debito Pubblico

2134*

( P )

Pil

1586*

D/P(%)

134,6 %

( A )

Parte eccedente il 60%

74,6 %

1/20 di A

3,7 %

Manovra per il rispetto del Fiscal C.

59,158**

*cifre in miliardi di euro  ** è il risultato dell’applicazione della percentuale del 3,7% al Pil.

In realtà ci sono molti osservatori che fanno notare che il calcolo precedente è  semplicistico perché non prende in considerazione alcuni aspetti della questione. Innanzitutto la manovra del governo per il rispetto del fiscal compact non è fissa ma cala al calare del rapporto debito/pil. Va inoltre sottolineato che il prodotto interno lordo da usare per il calcolo del rapporto con il debito è in termini nominali e non reali come siamo stati abituati a pensare. Questo implica un effetto benefico dell’inflazione sulla crescita del prodotto interno, effetto che aiuta ad alleviare la portata dell’intervento governativo.  In questa pagina è possibile consultare un fact checking sulle dichiarazioni degli euro scettici, dove si possono trovare alcuni calcoli  più sofisticati   http://www.linkiesta.it/fiscal-compact-fact-checking-vere-cifre.

Ora mettendo da parte la discussione sulla reale portata degli interventi degli amministratori pubblici italiani possiamo trarre alcune considerazioni del tutto generali. La qualità della nostra esistenza dipenderà sempre di più dalle scelte fatte dalle istituzioni europee, credo sia fondamentale che i cittadini possano comprendere a pieno le conseguenze economiche e sociali di tali scelte. Spero che il parlamento italiano e il parlamento europeo si facciano carico dell’esigenza di informare in modo sempre più chiaro e accessibile tutte le persone che vogliono partecipare alle consultazioni elettorali in piena coscienza. Spero inoltre che prima o poi i nostri governanti permettano ai cittadini di partecipare alle scelte economiche che hanno un forte impatto come il fiscal compact, attraverso gli strumenti della democrazia diretta e della partecipazione.

 

 

 

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *