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Brexit: l’Europa è isolata!

By Santo Fabiano on 2 Febbraio 2020
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Brexit: l’Europa è isolata!

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Intorno al 1930 il Times di Londra pubblicò in prima pagina un titolo che diceva: «C’è nebbia sulla Manica: il continente è isolato». Possiamo addebitarlo al proverbiale umorismo freddo degli inglesi o forse possiamo cogliere l’occasione per ricordare che il Regno Unito, in verità, non ha mai avuto l’intenzione di “unirsi” in modo indissolubile ad altri Stati.

Ma possiamo affermare che le ragioni della Brexit siano tutte addebitabili agli inglesi e al loro strano carattere?

Forse è utile ricordare che, in una famosa conferenza stampa del novembre del 1967, Charles De Gaulle si oppose duramente alla possibilità di ingresso della Gran Bretagna nella Comunità Economica Europea (nata nel 1957 con il trattato di Roma e fondata da Francia, Germania dell’Ovest, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) temendo che quella eventualità avrebbe compromesso il suo disegno, mai celato, di un’Europa trainata da Parigi e Bonn (il muro di Berlino non era ancora caduto). E la condizione che il presidente francese pose agli inglesi era che rinunciassero al “loro modo di stare al mondo”.

La domanda di adesione venne rifiutata ben due volte, finché, nel gennaio del 1973, il Regno Unito riuscirà a fare parte della  Comunità Economica Europea. Ma già nel 1975 si celebrò il primo referendum (proposto dai laburisti) sulla permanenza nella CEE e vinse il “remain” con il 62% delle preferenze.

Possiamo affermare che non si trattasse di un rapporto idilliaco, ma dobbiamo, dunque, chiederci se la questione fosse solamente conseguenza del cattivo carattere degli inglesi o se invece, già in quell’occasione non si scontrassero due modi diversi di intendere l’Europa e il ruolo degli Stati europei.

Non possiamo nascondere che, già a quel tempo, si fronteggiano due modelli diversi: quello propugnato dalla Francia, come uno Stato unitario con propri organi politici sovraordinati rispetto agli altri Stati e quello propugnato dall’Inghilterra, come una confederazione di Stati sovrani, uniti da interessi e cooperazione.

Il modello che è venuto fuori è ancora diverso perchè ha la pretesa di esprimere uno Stato caratterizzato da organi di rappresentanza politica, ma in effetti è dichiaratamente sbilanciato su una sola politica: quella finanziaria.

Così è successo che i buoni propositi di miglioramento delle condizioni di vita sono stati sostituiti da vincoli di finanza che hanno garantito soltanto gli investitori, a danno di imprese e lavoratori. E persino il proclamato “libero mercato” è stato sostituito da forme di imposizioni nella produzione. e vincoli sulle scelte commerciali che ha determinato la fortuna di alcuni Stati e l’impoverimento di altri. E la moneta unica, traguardo ambito per chiunque agognasse agli ideali di Europa dei popoli, ha avuto soltanto l’effetto di concentrare nelle banche centrali le politiche sottratte, sia agli Stati membri, sia agli organi politici dell’Unione.

Questa situazione ha creato un dilemma, avvertito anche in Italia, per il quale è sembrato “illogico” schierarsi contro l’Europa, ma nel contempo, “irrazionale” continuare a permanervi con le stesse regole.

Qualcuno ha pensato di provare a cambiare, ma, come afferma Baumann, il sistema finanziario non ha una sede specifica, non ha confini, né rappresentanti, dunque, non può essere combattuto.

La questione, peraltro arricchita anche da argomentazioni estranee e talvolta eccessive, ha riportato lo scontro proprio da dove era partito, trovando un leader, David Cameron, che pensava di poterla cavalcare a proprio vantaggio, organizzando un nuovo referendum nel 2016, con la dichiarata intenzione di chiudere la vicenda con la definitiva adesione della maggioranza degli inglesi all’Europa.

La questione non andò come sperava Cameron e dopo l’esito del referendum, correttamente si dimise, affermando “I’m sorry”, con un atteggiamento corretto e rispettoso delle buone maniere in politica. In Italia, giusto per precisare, in occasione di un referendum epocale qualcuno provò a imitare Cameron, ma si fermò alla promessa delle dimissioni,  rimanendo, senza alcuna vergogna anche dopo la sconfitta.

Da quel giorno si sono succeduti tanti accadimenti,  tutti caratterizzati da annunci catastrofici sulla eventualità che il Regno Unito, davvero volesse abbandonare la UE. Si è passati dalla impossibilità assoluta (ve la immaginate la Regina Elisabetta che si sente sottomessa alle decisioni del barcollante Junker?), alla minaccia di imporre sanzioni pesanti così da farli dissuadere (immaginate come possano sentirsi obbligati gli inglesi dalla decisione di organi a cui non riconoscano alcuna legittimazione), agli annunci di crisi economiche globali e presagi di malessere per i cittadini del Regno Unito.

Nel frattempo, lo scorso 31 gennaio, alle ore 24, per la prima volta, l’unione Europea ha perso uno Stato. E qualcuno paventa che possa trattarsi di un evento non isolato.

La  vicenda è di importanza assoluta e merita di essere posta all’attenzione dei popoli europei, ma accade qualcosa di strano: mentre negli altri giornali la notizia viene riportata con enfasi in prima pagina, il quotidiano finanziario italiano (il Sole 24 ore), lo stesso giorno dell’uscita dalla UE non dedica nella sua prima pagina, nemmeno un trafiletto all’evento. E il giorno seguente, tratta la notizia dedicando uno spazio minore rispetto all’apertura di nuove fabbriche in Toscana.

Che strano? Se l’uscita dell’Inghilterra dalla UE avesse rappresentato, come annunciato dal 2016, una catastrofe per i sistema economico, certamente la notizia avrebbe dovuto essere riportata con l’enfasi che meritava.

Invece non è accaduto e ciò deve indurre a farsi qualche domanda. Probabilmente aveva ragione Margareth Tatcher nel suo scontro con Delors.

Si ha come la sensazione che dalla Brexit il sistema politico-finanziario ne esca come il vero sconfitto. Ma soprattutto ne esce sconfitta la pretesa che quello debba essere “l’unico sistema possibile”. E non si vuole che si sappia che, da questo sistema si può uscire senza il rischio di catastrofi.

È evidente che ciò non vuol dire che il Regno Unito avrà vita facile, nè che abbia fatto bene a uscire. Certamente sarebbe stato meglio se l’Unione Europea, di fronte alle spinte di separazione, avesse avvertito il desiderio di ritornare ai propri valori e perseguire il benessere dei popoli e non solo dei finanzieri, come più volte ha affermato Varoufakis.

Staremo a vedere e speriamo che la Brexit serva da lezione, non per altre uscite, ma per rafforzare l’Unione su valori diversi e “meno materiali”, a meno che non si pretenda che tutti noi, per dirla con De Gaulle, cambiamo “il nostro modo di stare al mondo”.

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