Sunday, June 16, 2024

Pop art

By Claudia Donnini on 7 Febbraio 2023
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Pop art

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Anche se comunemente riteniamo che la pop art sia nata nel contesto delle immagini pubblicitarie dell’America degli anni ’60, bisogna ricredersi.

L’Independent group

Infatti, il termine “pop art” nasce nel decennio precedente a Londra, proprio presso l’Institute of Contemporary Art (ICA).

Subito dopo la conferenza “Bunk” – dove parteciparono Eduardo Paolozzi, Laurence Alloway e Richard Hamilton – un gruppo di persone decisero di fondare l’Independent Group.

All’interno di questo gruppo convogliano tre anime: la prima, quella formata da artisti e fotografi, come Paolozzi e Hamilton;
la seconda formata da critici d’arte e teorici, come Alloway;

la terza composta da architetti e designer come Stirling.

L’idea era quella di creare una nuova forma d’arte che mutuasse i suoi temi dall’arte popolare, l’arte di massa, senza entrare però in contraddizione con essa.
Bisognava creare una nuova spazialità!

Questa necessità di trattare i temi della cultura di massa arrivò anche in America sorsero i più grandi artisti dell’arte pop, come Andy Warhol.

Ma andiamo per ordine.

Rosenquist

Tra i primi a trattare dei temi pubblicitari e dei simboli per eccellenza dell’america ci fu Rosenquist.
Ancora legato alla pittura, Rosenquist creava in piccolo formato i suoi quadri nei quali sovrapponeva le celebri immagini della tv – una Ford, J.F.Kennedy, dei Mac&Cheese – e poi li riportava su grande scala.

Rosenquist prelevava i suoi soggetti direttamente dal mondo della pubblicità americana, ma come vedremo, non è l’unico referente per gli artisti pop degli anni ’60.

Liechtenstein

Infatti, Liechtenstein preleva i suoi soggetti dal mondo del fumetto!
L’artista è molto famoso per riproporre eroine dei fumetti in tutte le salse: ridenti, spaventate e anche in lacrime. Tra i vari fumetti da lui trattati c’è anche Braccio di Ferro!

Tuttavia, la particolarità di Liechtenstein è questa: egli interrompe la fascia narrativa tipica del fumetto, isolando un singolo riquadro che non racconta nulla.

 

Warhol

 

Ma adesso arriviamo a colui che è considerato il più grande artista dell’arte pop: Andy Warhol.

Warhol è un personaggio complicato in cui affluiscono numerosi interessi e passioni.
Anche lui, come Liechtenstein si approccia al fumetto – come in Dick Tracy – e anche lui, come Rosenquist si rifà ai grandi divi della tv americana come le celebri Marilyn Monroe e Liz Taylor.

Ma quando lo fa c’è sempre un’indagine, dietro, non è mai pura illustrazione.

Infatti, i primi dipinti di Marilyn Monroe vennero creati all’indomani della tragica morte della diva, nonostante ella fosse diventata un’icona in vita. Warhol si inizia ad interessare alla sua figura solo in seguito alla sua morte; così succederà anche per Liz Taylor che egli dipinge dopo aver appreso la notizia di una grave malattia che ha colpito l’attrice.

Quindi, parte della produzione di Warhol ruota attorno a questo tema della morte, questa presenza ingombrante che aleggia in ogni sua opera, fino a diventare una vera e propria ossessione.

Per “oggettivare” la sua arte Warhol inizia ad utilizzare la stampa piuttosto che la pittura.
Inizia così a riprodurre pagine di giornale che raccontano di disastri, come ad esempio “129 morti su un jet”, oppure “Ambulance disaster” oppure anche “Suicide”. E così via, in un loop inquietante di morte e terrore.

 

Fino al 1968, anno in cui una signora fece irruzione nel suo studio e gli sparò.
Warhol combatté tra la vita e la morte, ma infine si salvò.

Ed in una sorta di esorcizzazione della paura della morte, questo tema tanto ingombrante e tanto pesante sparì dalla sua produzione artistica.

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