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Diritto all’oblio: la situazione in Italia nel bilanciamento con il diritto di cronaca

By Massimiliano Villani on 14 Marzo 2019
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Diritto all’oblio: la situazione in Italia nel bilanciamento con il diritto di cronaca

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Quante volte abbiamo sentito parlare di “diritto all’oblio”? Probabilmente molte volte, ma non sempre si ha chiaro il significato di questa espressione.

Non esiste, a dir la verità, una definizione di legge del diritto all’oblio: genericamente viene definito come il diritto di ogni soggetto a che non siano ripetutamente pubblicate notizie sul suo conto, specie quando queste non sono aggiornate, sono ormai fuori contesto e la loro pubblicazione è dettata da ragioni commerciali.

La problematica del diritto all’oblio è balzata all’attenzione generale con la recente evoluzione tecnologica e la presenza sempre più massiccia delle persone nella rete internet e, in particolare, nei social network.

Come capita – ahimè spesso – i primi riconoscimenti relativamente a tale questione sono avvenuti fuori del nostro Paese: è stata infatti la Corte di Giustizia Europea ad affrontare per prima il problema e a dare una prima risposta, riconoscendo il diritto all’oblio.

In Italia, invece, prima del GDPR del 2018 (Il Regolamento generale sulla protezione dei dati) non esisteva una norma che contemplasse il diritto all’oblio e quindi è toccato alla giurisprudenza e alla dottrina interpretarlo e introdurlo nel nostro sistema giuridico.

Quello che si evince da subito è il netto contrasto tra diritto all’oblio e diritto di cronaca: da una parte il soggetto che non vuole più vedere il suo nome e la sua foto pubblicate online con riferimento a fatti ormai vecchi e superati; dall’altra il diritto di cronaca e l’interesse della collettività a conoscere i fatti.

Un conflitto sicuramente difficile da sanare, ma con la possibilità concreta di trovare un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco.

Domandiamoci infatti, se un interesse delle persone a conoscere fatti recenti è comprensibile e può anche comportare il sacrificio del diritto all’oblio, si può ancora reprimere tale  diritto a favore del diritto di cronaca per fatti datati?

Ma in cosa consiste il diritto all’oblio? Questo diritto viene anche detto diritto ad essere dimenticati. In sostanza, un soggetto può avere interesse a non leggere più il proprio nome all’interno di articoli o news pubblicate online, oppure a non vedere più il suo nome associato a determinati fatti accaduti tempo fa.

Le persone, in buona sostanza, hanno diritto di essere informate, ma anche i “protagonisti” di quelle informazioni hanno diritto a essere dimenticati e a non restare per sempre sbattuti in qualche articolo online.

Quindi, come conciliare questi due diritti?

Partiamo dal fatto che il diritto di cronaca deve essere esercitato entro determinati limiti, chiariti anche dalla giurisprudenza: in particolare, il diritto di cronaca deve rispettare il requisito della continenza formale (mantenere un linguaggio contenuto nell’esposizione dei fatti) e il requisito della corrispondenza a completezza e verità (ciò che viene riportato deve costituire il frutto di un accertamento serio).

In una celebre sentenza del 2014 la Corte di Giustizia ha riconosciuto che l’esposizione perdurante o reiterata di un determinato soggetto al pregiudizio che gli crea la pubblicazione di una certa notizia e/o video e/o pose fotografiche finisce per ledere la sfera privata del soggetto stesso.

Anche la Cassazione recentemente ha ribadito che non è possibile prescindere da una valutazione bilanciata tra il diritto all’informazione, che è soddisfatto dalla cronaca giornalistica, e i cosiddetti diritti fondamentali della persona, tra cui si può senza dubbio collocare anche la riservatezza della persona: ciò che conta, ad avviso della Cassazione, nell’operare questo bilanciamento, è l’interesse pubblico alla diffusione e pubblicazione della notizia.

In parole povere, la privacy e la riservatezza dell’individuo non potranno mai impedire di pubblicare determinate vicende che siano caratterizzate da un forte interesse pubblico che ne giustifica la divulgazione.

Ma cosa si può fare in concreto per la tutela del diritto all’oblio?

Una delle forme più efficaci di tutela per dare piena attuazione al diritto all’oblio è rappresentata dalla deindicizzazione, ossia una operazione tecnica attraverso la quale non sarà più possibile, mediante una ricerca nel web, reperire certi link e certi riferimenti.

Non molto tempo fa, il Garante per la protezione dei dati personali ha accolto in parte un ricorso, proveniente da una persona che richiedeva la deindicizzazione, imponendo la rimozione degli URL già indicizzati tra i risultati di ricerca che escono fuori digitando il nome e il cognome dell’individuo stesso, sia in ambito europeo che extra UE.

Un altro strumento utile, soprattutto quando la lesione deriva da uno specifico articolo o contenuto web, è la rimozione del contenuto stesso: la Cassazione ha fatto notare che gli articoli pubblicati nei giornali online possiedono una capacità di diffusione particolarmente elevata e, dunque, quando è ormai trascorso un periodo di tempo sufficiente, il trattamento dei dati personali dei soggetti coinvolti nell’articolo non dovrebbe più avere luogo.

Con l’entrata in vigore del GDPR, ossia del nuovo regolamento europeo relativo al trattamento dei dati personali, le cose sono cambiate: all’interno di questo documento, infatti, è riportata una norma che si chiama proprio “diritto all’oblio”.

Anche se, a dire il vero, tale norma incide davvero sul tema del diritto ad essere dimenticati: infatti, la norma non si non si applica al diritto alla libertà di espressione e di informazione ed è quindi solo il diritto alla cancellazione dei propri dati personali da parte di un altro soggetto, ossia del titolare del trattamento.

Un esempio pratico: un tizio invia il proprio CV ad una società che ha indetto una selezione per assumere un impiegato e dopo un anno dall’assunzione dell’impiegato, un altro concorrente ha diritto a chiedere a quella società di cancellare i suoi dati (e quindi distruggere il CV) in quanto la finalità per cui sono stati raccolti è ormai venuta meno.

Ecco dove risiede il carattere innovativo del GDPR, nel dovere imposto al titolare del trattamento, che riceve una richiesta di cancellazione dei dati personali, non solo di cancellare i dati, ma anche di adottare “misure ragionevoli, anche tecniche” per trasmettere la richiesta anche agli altri titolari del trattamento che stanno utilizzando i dati dei quali si chiede la cancellazione.

Tale obbligo vige quando la richiesta di cancellazione ha ad oggetto “qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali”.

La norma, pertanto, rappresenta un passo in avanti verso il riconoscimento del diritto all’oblio anche se, come accennato, la norma non entra nel terreno delicatissimo del rapporto tra diritto alla privacy e diritto di cronaca/manifestazione del pensiero.

Vedremo quali saranno gli sviluppi futuri.

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