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Malati di videogiochi

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La febbre da videogiochi si fa sempre più alta, tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha inserito la dipendenza da videogiochi, game disorder, nell’elenco dell’International Classification of Deseases (Icd),  la lista internazionale delle patologie che verrà presentata all’Assemblea mondiale della sanità nel maggio 2019, ed entrerà in vigore nel 2022. L’Icd definisce i disturbi mentali e ne classifica le malattie e i problemi correlati, rappresentando un valido strumento per identificare le tendenze e le statistiche sanitarie utilizzato dai medici per fare diagnosi. Per l’Oms l’uso compulsivo di videogiochi appartiene alla stessa famiglia delle malattie dovute ai comportamenti che causano dipendenza come il gioco d’azzardo, e per essere diagnosticato deve essere costante e protratto per più di un anno e, se con sintomi seri, anche per periodi inferiori. Si tratta di un modello di comportamento di gioco caratterizzato da un controllo compromesso sul gioco e crescente priorità data al giocare su altre attività quotidiane tanto da compromettere in modo importante la sfera personale, familiare, sociale e lavorativa.

Dei due miliardi di videogiocatori in giro per il mondo, questo disturbo ne colpisce solo una piccola parte. In Italia sono circa 270 mila (dati Espad 2018) i giovani che trascorrono in media 3 ore al giorno davanti al pc, con punte fino a 10 ore spesso rimanendo ‘incollati’ a computer, console e smartphone senza dormire o mangiare. Il tempo dedicato a queste attività deve essere controllato, soprattutto quando si cominciano ad escluderne altre che di solito si svolgono nella giornata e si verificano cambiamenti nella salute psico-fisica e nei rapporti interpersonali. Per l’Oms sono tre gli elementi fondamentali da prendere in considerazione: mancanza di controllo sul gioco, soprattutto riguardo alla frequenza con cui si fa uso dei videogiochi, priorità che viene data ai videogiochi rispetto alle altre attività da svolgere durante la giornata e prosecuzione del gioco nonostante le sue conseguenze negative. In alcuni Paesi nel mondo, soprattutto in quelli asiatici come Giappone, Cina e Corea del sud, si cerca di contrastare la gaming addiction attraverso le leggi: in Corea non si può giocare tra mezzanotte e le sei del mattino, in Cina i minori hanno l’accesso bloccato in alcune fasce orarie e in Giappone dopo un periodo trascorso a giocare, gli utenti vengono avvisati da un pop-up alert che li invita a smettere. I giochi online si possono dividere in: a) giochi di svago, ripetitivi e con bassa richiesta cognitiva; b) giochi di ruolo, in cui il soggetto gioca con altri utenti (comunità virtuale) attraverso un personaggio l’’avatar’ che lo rappresenta e spesso vi proietta il proprio sé ideale, con cui si deve allenare per migliorare la propria abilità e giocare con altri ‘avatar’, in cui si immedesimano altri giocatori. Questi giochi ‘virtuali’ hanno la caratteristica di essere fruiti in solitudine senza socializzare con gli altri, portano all’identificazione con personaggi non reali spesso dotati di poteri magici e di immortalità e sono pieni di azioni violente, molto apprezzate dagli utenti. Per contrastare i rischi legati all’uso di videogames si possono mettere in atto alcune regole di comportamento, tra cui il controllo del tempo impiegato per l’uso che non deve superare l’ora al giorno, brevi e frequenti pause e  il mantenere lo spazio per le attività ‘reali’ per evitare l’isolamento sociale e la rinuncia alle attività fondamentali della giornata come mangiare, studiare o lavorare.

Se la realtà virtuale offre ai ragazzi stimoli maggiori, soprattutto per le personalità più deboli, e l’opportunità di estraniarsi dalla realtà spesso noiosa e difficile da vivere, occorrerebbe insegnare loro la differenza concreta tra queste due dimensioni per farli rientrare in contatto con la quotidianità, soprattutto con emozioni, esperienze e relazioni interpersonali  per non sentirsi estranei nella vita di tutti i giorni.

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