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Big Eyes – Tim Burton racconta l’illusione di Keane

By Redazione on 8 Gennaio 2015
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Big Eyes – Tim Burton racconta l’illusione di Keane

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Tim Burton torna nel mondo degli umani, anzi, racconta dopo venti anni dal meraviglioso Ed Wood un’altra storia vera eppur incredibile, l’epopea familiare, artistica e legale dei coniugi Keane e dei loro meravigliosi “Big Eyes”.

La pittrice Margaret Ulbrich (raccontata nel film dalla voce narrante dal cronista Dick Nolan) nella puritana California degli anni ’50 fugge dal marito con la figlia piccola, per approdare a San Francisco, città viva e vivace già allora. Margaret si mantiene facendo ritratti per la strada, tutti con una caratteristica: quella di aver occhi enormi, espressivi e spudoratamente invasivi. Ha talento Margaret, se ne accorgono tutti, anche quel filibustiere di nome Walter Keane, di professione agente immobiliare ma che arrotonda cercando qualcuno che si compri le sue vedute di Parigi, che dipinge senza passione e con tecnica scolastica.

Amy Adams

Amy Adams

Walter si innamora di Margaret ( o del suo talento?) e la sposa immediatamente, cercando di aiutarla nel far conoscere i suoi quadri. Sarà poi l’astuzia di Keane ed il caso a far precipitare i loro rapporti mentre i quadri con la firma “Keane” dipinti da Margaret ma venduti come fossero di Walter cominceranno a riempire le riviste e le pareti di mezzo mondo.

Un film si è detto Hollywoodiano, un cocktail di colori, grande musica, scenografia e costumi splendidi, Tim Burton conosce il mezzo, ha l’arte del racconto e nessuno dei 114 minuti del film ha il marchio della banalità.

Locandina del film

Locandina del film

Eppure qualcosa in quest’opera segna il passo; salta all’occhio proprio questa estrema cura che snatura il cinema di Burton, ne frena l’ardore e lo rende omologato lui che è il genio e la sregolatezza in persona.

La delusione più grande però ce la riserva il protagonista Christoph Waltz, finora osannato dalla critica per le sue meravigliose performance Tarantiniane, ma che lontano dallo sguardo folle e geniale di Quentin mostra tutti i suoi limiti, che sono davvero tanti. Waltz restituisce un Keane troppo ammiccante, teatrale e grottesco che alla terza battuta e al secondo sguardo fintamente sorpreso stanca ed indispettisce.

Anche qui come nel sopravvalutato “Carnage” di Roman Polanski, l’attore viennese appare non all’altezza del compito, mentre è bravissima Amy Adams che come in Her e The Master si cala con i suoi occhioni (tanto per rimanere in tema con il film) nel poliedrico personaggio di Margaret con picchi di intensità emotiva che lasciano il segno.

Nota finale per la musica fluida e placida di Danny Elfman, che accompagna da sempre il genio di Burton mentre incanta l’elettro-pop di Lana Del Rey, che con la canzone tema del film si avvia a vincere il Golden Globe e forse l’Oscar.

Keane

Keane

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