Cuore di serpente di Giovanni Montini

Romanzo dalle tinte noir edito da Bertoni Editore

 

Cuore di serpente è il terzo romanzo di Giovanni Montini edito da Bertoni Editore uscito a settembre 2022 e ambientato negli anni ’70 in una villa al mare del Circeo.

Il protagonista di Cuore di serpente è Giulio, uno scrittore quarantenne, omosessuale e squattrinato che accetta l’invito dell’amica Francesca – un’avvenente redattrice di una testata di gossip, attenta alla linea e alle apparenze – sperando di ritrovare la carica giusta per tornare a scrivere.

Nella bella villa in riva al mare con la sua Olivetti Lettera 22, Giulio incontrerà ciò che non si sarebbe mai aspettato: il fascino passionale della giovinezza nella figura del ventenne Gabriele. Conturbante personaggio figlio di prime nozze del padrone di casa, Andrea, e cresciuto con le amorevoli premure dalla seconda moglie, Francesca.

Lo stile di Cuore di serpente rientra nel genere noir con quel tocco di sentimentale tanto da poterlo definire un “noir sentimentale” e visto che la trama è avvincente, con inaspettati colpi di scena di tutto rispetto e un ritmo narrativo ben studiato, non posso certo procedere con il narrarvi la trama per non togliervi il gusto di girare le pagine. Posso, però, parlarvi dei personaggi e, in primo luogo, del protagonista Giulio, un uomo dolce e timoroso, tenero e poco sicuro di sé che fa fatica a dichiarare al mondo la propria omosessualità e di questo ne soffre in silenzio:

«Tutti nella vita tradiamo, e non solo i nostri partner. Nell’amicizia, sul lavoro, anche i nostri genitori. Io ho tradito la fiducia di mio padre perché gli ho fatto credere che mi piacevano le donne. Da quanto gli ho confessato di essere gay non ci parliamo più, ma io mi sento libero perché gli ho detto la verità. Non lo tradisco più. Ti pare poco?»

E già perché non dichiarare, in fondo, è un po’ tradire e Giulio è così sensibile e vulnerabile che assorbe su di sé questa mancanza di coraggio incupendosi e piegandosi su sé stesso perché «Preferiva soffrire, struggersi per un amore irraggiungibile, solo dal dolore Giulio riusciva a trarre nutrimento, l’unica forma di esistenza

E Giovanni Montini è bravo a evidenziare questo tema come una sotto traccia del romanzo visto che, a mano a mano che la vicenda si ingarbuglia e tiene il lettore legato alle sue pagine, ecco che emerge la difficoltà del coming out nel periodo storico degli anni ’70.

 

 

A rafforzare questa tematica e a fare da contraltare, troviamo il personaggio di Francesca, la padrona di casa, donna arrampicatrice, manipolatrice, pettegola e, soprattutto, falsa disposta a tutto pur di soddisfare la propria sete di soddisfazione personale e professionale.

La figura di Francesca appare sin dalle prime battute contorta e ambigua e, allo tesso tempo, risulta come metafora della società che ci vuole tutti inquadrati in un mondo standard, politically correct e senza sbavature, dove esteriormente si finge di accettare le differenze dell’altro per poi sparlarne e denigrarlo non appena se ne ha occasione.

Cuore di serpente ha due piani di lettura che si alternano con maestria. Se da un lato si segue l’avvicendarsi degli avvenimenti con trepidazione, dall’altra si ha modo di vivere con tenerezza l’improvvisa storia d’amore senza mai cadere nel banale o nel già letto, anche quando si tratta della descrizione di scene di sesso.

Una lettura piacevole e snella che avvince e riporta indietro nel tempo quando non c’erano ancora i cellulari e per telefonare a qualcuno si doveva sperare di trovarlo in casa, quando per scrivere si usavano le risme di carta e il tempo sembrava appartenerci un po’ di più.




LE CASE DEL MALCONTENTO Di Sacha Naspini Ed. e/o

LE CASE DEL MALCONTENTO

Di Sacha Naspini

Ed. e/o

 

 

Le Case è un posto che ti chiude l’anima.

Le Case è un cuore nero piantato in mezzo al pancione di Maremma,

che si traveste piena di sogni

e dopo te lo ficca nel didietro a brutto muso.

 

Quando si ha la capacità di scrivere come Sacha Naspini, bisogna anche assumersi la responsabilità di lasciare un grande vuoto nel lettore che legge le ultime righe del suo ultimo lavoro: Le case del malcontento.

Questo perché arrivati al punto finale è impossibile sollevare lo sguardo senza chiedersi: “E ora?”

La scrittura di Naspini rapisce e non lascia più andare, una specie di sequestro del lettore.

Quando poi la pagina successiva è bianca e il “sequestrato” torna alla realtà, esso non è più lo stesso; capita quindi di ritornare ai primi capitoli, perchè Le Case non ti permette di andar via.

Le case del malcontento graffiano e le cicatrici che lasciano portano i nomi dei protagonisti di quella che non riusciamo a definire se storia o favola: Adele, Filippo, Samuele, Giovanna, Sonia, Adelaide…

I capitoli si rincorrono e i rimandi continui non permettono al lettore di rilassarsi, la suspence è dietro ogni pagina.

È vero infatti che la lettura di questo originalissimo romanzo non è una tranquilla passeggiata, al contrario una salita dura e accidentata.

Arrivati poi alla cima, già siamo consapevoli che un lieto fine non ci sarà, Sacha Naspini ha in riservo per noi un finale al cardioplama: un baratro nero e implacabile che tutto inghiottirà.

A Le Case tutti sono innocenti e nessuno lo è; ognuno di loro sarà vittima e carnefice…

 

Le Case è un mostro che ingrassa ad ogni respiro,

e allora io ne spengo uno per volta,

fino all’ultimo,

che sarà il mio.

 

Le case del malcontento è un romanzo corale, dove si ama, si uccide, si odia, si vendono figli, si ruba; un viaggio nei meandri più oscuri dell’animo umano che non concede sconti a nessuno.

La Maremma toscana prende vita  dallo stile tagliente, profondo ma mai banale di uno scrittore che, mi auspico, farà molto parlare di sé e continuerà a travolgerci piacevolmente nelle sue storie.

 

 

SINOSSI

 

Le Case è un borgo nell’entroterra toscano, un paese morente dove gli ultimi abitanti trascinano le loro stanche vite. Un posto dove i giorni sono sempre uguali nel susseguirsi di buongiorno e buonasera all’apparenza cordiali ma, nella sostanza, mai sinceri.

Fino al giorno in cui la piccola comunità viene sconvolta dal ritorno improvviso di Samuele Radi, nato e cresciuto nel borgo vecchio e poi fuggito nel mondo.

Il suo ritorno a casa dà vita alla storia di questo paese dove ognuno è dato in pasto al suo destino.

 

 

 

 




L’estate che sciolse ogni cosa di Tiffany McDaniel

Esordio letterario e best seller edito in Italia da Atlantide Edizioni

 

L’estate che sciolse ogni cosa è il romanzo di esordio di Tiffany McDaniel uscito negli Stati Uniti nel 2016 e diventato in breve un best seller. In Italia è arrivato nel 2017 grazie alla casa editrice Atlantide Edizioni con la traduzione di Lucia Olivieri.

La voce narrante è quella dell’ottantaquattrenne Fielding Bliss che racconta la caldissima estate del 1984 quando aveva solo tredici anni e suo padre, il giudice Autopsy Bliss, pubblica sul giornale locale un’invito particolare:

Egregio Satana, Diavolo chiarissimo, esimio Lucifero e tutte le altre croci che siete costretto a sopportare, vi invito cordialmente a Breathed, in Ohio. Terra di colline e di balle di fieno, di peccatori e di uomini capaci di perdonare. Che possiate venire in pace.

E il diavolo si presenta davvero sotto le sembianze di un ragazzino nero, Sal (dalle iniziali di Satana e Lucifero) con indosso una logora tuta di jeans, e con gli occhi di un verde intenso come a ricordare il paradiso.

Il caldo arrivò insieme al diavolo. […] C’era da aspettarselo che arrivassero insieme. Dopo tutto, il caldo non è forse il volto del diavolo? E a chi è mai capitato di uscire di casa senza portarselo dietro?

Nel corso di quella torrida estate nasce e si consolida l’intensa amicizia tra Bliss e Sal che li porterà a vivere sulla propria pelle il male che si annida sia nella società statunitense che nella piccola comunità di Breathed. Saranno i comportamenti dei vicini di casa, dei compagni di scuola, dei semplici conoscenti a far emergere temi come il razzismo, il dramma dell’AIDS e il tabù dell’omosessualità.

Argomenti che restano avvinghiati al pensiero di tanti e che ne determinano i comportamenti, le discrepanze e le divergenze fino ad arrivare a trasformare persone che sembrano essere per bene in catalizzatori e portatori di male.

 

 

La scrittura di McDaniele è coraggiosa, conturbante e spietata e i dialoghi sono diretti e le domande che Bliss pone a Sal conducono piano piano il lettore a chiarire come in ciascuno di noi viva e conviva sia il male che il bene.

«Pensavo, se tu sei il diavolo, hai incontrato Dio. Com’è?» […] Sal si sollevò su un gomito e mi chiese di raccontargli di un giorno in cui mi ero sentito amato.»

Tiffany McDaniel ha creato un intenso romanzo di fiction letteraria toccando temi non semplici ma riuscendo a estrapolarli per renderli accessibili, possibili quasi avvicinabili. Il male esiste nella stessa misura in cui esiste il bene e noi umani possiamo solo imparare a conviverci equilibrando e dosando i due pesi. Il nostro pensiero e le nostre azioni hanno bisogno di controllo perché raccolgono in sé sia il male che il bene e le conseguenze segnano per sempre sia noi che chi ci vive accanto.

Se dovessi trovare un difetto in L’estate che sciolse ogni cosa, sicuramente direi l’uso eccessivo e ridondante di metafore ma è una piccola cosa davanti ad un romanzo ben strutturato, con argomenti riflessivi importanti e con una trama assolutamente non banale.

«Perché quei lacci sono ogni cosa, e quando ogni cosa rimane slacciata, si finisce per inciampare anche se si va in giro scalzi»




Lei che non tocca mai terra di Andrea Donaera

Il secondo romanzo del giovane scrittore salentino pubblicato da NNEditore

 

Lei che non tocca mai terra è il secondo libro del giovane scrittore salentino pubblicato da NNEditore a settembre 2021, candidato per la LXXVI edizione del Premio Strega grazie alla presentazione di Daniele Mencarelli che in finale alle sue motivazioni dichiara «Il sud di Donaera è il sud di ogni mondo su questa terra, gotico e bestemmiante, dove tutti, a partire da Dio, si negano all’uomo che brama di essere salvato, da sé stesso e da tutti i falsi profeti. Donaera è un narratore lirico come pochi altri in circolazione e questo suo viaggio risplende di luce propria

Andrea Donaera ha scritto un romanzo corale dove le voci dei diversi personaggi si intersecano come in una ragnatela e sbattono, rimbalzano, si rialzano e ricadono senza soluzione di continuità.

All’apparenza sembra che la protagonista centrale del romanzo sia Miriam, l’adolescente dormiente in stato comatoso su di un letto dalle lenzuola candide attorno alla quale si alternano il padre, la madre, il fidanzato e l’amica del cuore che sono le coscienze di Lucio, Mara, Andrea e Gabry. Ma, in effetti, il vero attore di Lei che non tocca mai terra non sono loro, bensì il coma stesso, quello stato di impotenza, quel muro di incomunicabilità, quel deserto di non-futuro che attanaglia ogni personaggio, che incombe sulla città di Gallipoli, che struscia tra le fronde degli uliveti salentini, che oscura l’orizzonte del mare.

 

 

Generazioni che si alternano, si rinnovano, si incastrano a forza bloccati in pregiudizi atavici, in silenzi ventennali, in depressioni abissali, dove una donna/moglie/mamma resta seduta immobile sul lato del divano in cui per l’ultima volta si è seduto il marito, dove il senso di colpa per non aver notato le pene corporali auto inflitte dalla sorella conducono un’intera famiglia a non guardarsi più negli occhi, dove si preferisce credere al potere di esorcizzare il Male attraverso le preghiere di un santone dalla lunga barba bianca.

“Mia madre è malata di vuoto. Quando mio padre ha sparato è successo che il proiettile ha fatto molti buchi: uno è nell’anima di mia madre – un altro nella mia testa.”

Alcune scene sono descritte con una ritmica tribale, simile ad una taranta, dove il ripetersi degli aggettivi, l’alternarsi dei verbi, sembrano girare in tondo sempre più velocemente fino ad esplodere. Scene dove non è difficile percepire in sottofondo anche lo strusciare dei piedi sul pavimento del palcoscenico di uno spettacolo teatrale. Ebbene sì, questo ultimo lavoro di Andrea Donaera potrebbe benissimo essere trasportato su di un palcoscenico così da far vibrare ogni spettatore, non solo dalle parole, ma anche dei gesti teatrali degli attori. L’intero romanzo mi è intriso di un ritmico tarantismo, coinvolgente e primordiale.

Lei che non tocca mai terra è un grido di dolore abbarbicato a diversi livelli nella società in cui viviamo; un urlo desideroso di rompere quel muro, di scoperchiare quel silenzio, di dare finalmente un indirizzo ad un futuro che scorre, caspita se scorre, se solo si avesse la forza di estirpare la paura dagli esseri umani affinché tornino a guardarsi negli occhi per parlarsi tra loro.

Andrea o Andrea, bravo davvero!




Gli invisibili di Pajtim Statovci

Guerra e disperazione. Solitudine e odio. Amore e passione.

 

Gli invisibili di Pajtim Statovci narra la storia di due giovani ragazzi degli anni ’90. Il caso li fa incontrare al tavolino di un bar di Pristina e tra loro scatta il classico colpo di fulmine che li porta a vivere una grande e intensa storia d’amore ma anche ad essere costretti ad essere invisibili agli occhi di tutti perché Arsim e Miloš non solo sono due uomini ma il primo è albanese mentre l’altro è serbo.

Invisibili perché uomini e invisibili perché nemici, eppure la passione e i sogni che uniscono Arsim e Miloš sono semplici e puliti e contrastano con la violenza che alimenta l’odio tra le due culture e la ferocia delle tradizioni che non offre mai una via d’uscita.

Arsim studia per diventare cardiochirurgo mentre Miloš, sposato e con figli, insegue il sogno di diventare scrittore. Si amano dietro la porta del piccolo appartamento di Miloš che diventa così quel luogo magico, fuori dal mondo, dove immaginare quel futuro impossibile.

Non andiamo mai da nessuna parte, nemmeno a fare due passi, non nutriamo speranze di una vita al di fuori di queste quattro mura perché semplicemente non esiste.

Gli invisibili è un romanzo duro, schietto, che lascia intendere come non sia possibile alcun lieto fine laddove i limiti e quello stato di invisibilità nasca dai limiti stessi degli esseri umani. Il genere umano che marchia, per sempre e da sempre, altri esseri umani rendendo di fatto impossibile qualsiasi, se non rara, possibilità di riscatto.

Nel romanzo, ad un certo punto, i due uomini si lasciano per seguire percorsi diversi. Arsim resta a Pristina mentre Miloš, con la famiglia, si rifugia all’estero in un paese non identificato. E anche in questo paese, europeo e “civilizzato” si ritrova la stortura dell’uomo di lasciare nell’invisibilità altri esseri umani perché considerati stranieri, diversi e, quindi, pericolosi.

Ajshe, la moglie di Miloš, nell’affrontare le insegnanti dei figli, reclama con forza la violenza che viene fatta loro di marchiare i normali disagi adolescenziali nascondendoli in una forma di razzismo.

“Gli insegnanti direbbero che gli insuccessi sono dovuti al bilinguismo se la nostra madrelingua non fosse l’albanese?”

Gli invisibili è impostato con le due voci narranti dei protagonisti che si alternano su diversi piani temporali e evidenziate anche da un differente carattere di stampa che sembrano rafforzare ancora di più le distanze.

L’incipit richiama subito alla guerra introducendolo come un altro protagonista del romanzo. Una guerra che non usa solo armi da fuoco ma si delinea in una lotta quotidiana e individuale che soffoca, deride, isola e uccide, in una battaglia continua e difficile di chi tenta in tutti i modi di esprimere sé stesso e raggiungere i propri sogni ma resta imbrigliato, prigioniero a vita, di una gabbia costante che rende l’uomo invisibile agli altri.

“Ho visto uccidere un uomo, ho visto sulla strada il braccio di un soldato, sembrava un luccio cavato fuori dalla terra, ho visto fratelli separati alla nascita, case bruciate ed edifici crollati, finestre sfasciate, stoviglie rotte e roba rubata, tanta di quella roba che non crederesti a quanta ne rimane quando la vita tutt’attorno è presa a calci, anche gli oggetti muoiono quando vengono sottratti al loro proprietario.”

 

 

 

 

Gli invisibili di Pajtim Statovic
Edito da Sellerio Editore – agosto 2021
traduzione di Nicola Rainò




Quello che si salva di Silvia Celani

Il secondo romanzo della scrittrice pometina ci porta nel cuore della resistenza romana

 

Ogni riflessione sui libri che scelgo di proporre mi carica sempre di una grande responsabilità che aumenta ancora di più nel momento in cui l’autore del libro è una persona che conosco. Il rischio di non essere obiettiva è sempre dietro l’angolo.

Per fortuna nel romanzo Quello che si salva di Silvia Celani, edito da Garzanti nel settembre del 2020, la sensazione di essere in bilico tra “dire e non dire” l’ho superato a mano a mano che andavo avanti con la lettura perché la vicenda narrata mi ha letteralmente rapita togliendomi qualsiasi dubbio.

Quello che si salva è un romanzo ambientato a Roma e narra la storia di Flavia e nonna Luli. Due donne, vicine di casa e con età diverse, che instaurano nel tempo un profondo legame di amicizia, molto più stretto e   intimo di un vincolo di sangue.

 

 

Giocando sull’alternanza dei capitoli in diversi piani temporali Quello che si salva ci porta agevolmente avanti e indietro nel tempo, tra passato e presente.

Con nonna Luli, all’anagrafe Giulia, ci troviamo immersi nella Roma del settembre del ’43, con la nascita dei nuclei di resistenza romana ai quali la giovane ventenne si unisce con coraggio contrastando la presenza massiccia e oppressiva dei nazisti e prendendo il nome in codice di Camilla. Pagine intense con svariati personaggi del popolo, coraggiosi e impavidi, pronti a tutto, anche a morire per salvare Roma. Non manca la pagina dell’attentato di via Rasella con il successivo rastrellamento dei tedeschi e l’eccidio delle Fosse Ardeatine o l’episodio dell’uccisione di Teresa, la donna incinta trucidata da un tedesco in Viale Giulio Cesare.

Nel presente, invece, abbiamo Flavia attraverso la quale si snoda la storia del ritrovamento casuale in un negozio di antiquariato di un sevivon, una particolare trottola della tradizione ebraica, che rappresenta il trait d’union tra passato e futuro nella trama del romanzo.

Per la mia particolare predisposizione alle storie del passato, tra le due figure femminili quella che mi ha coinvolta di più è sicuramente la figura di nonna Luli. La sua determinazione, la sua forza e la sua resilienza nel continuare a combattere nel silenzio del proprio dolore anche quando la guerra finisce ma persevera nel ricordo e nel dolore di chi resta, raccontano di una donna dai tratti ben delineati e davvero difficile da dimenticare.

È sarà proprio la grande forza interiore di nonna Luli a sostenere, aiutare e appoggiare la figura di Flavia, con le sue difficoltà a uscire fuori dal guscio famigliare, con i propri timori e i sensi di colpa.

Purtroppo non posso raccontare oltre senza rischiare di anticiparvi troppo della trama, ma posso dichiarare che il ritmo narrativo è ben equilibrato e il desiderio di andare avanti per capire cosa accade alle due donne, fanno di Quello che si salva, un libro da leggere e da regalare perché al di là dell’ottimistico titolo, racchiude una storia vera che è bene tenere sempre a mente: lottare per i propri desideri, per i propri sogni non è mai una lotta vana.

Molto interessante la nota dell’autore a fine libro che ci ricorda come tutti i fatti storici narrati siano realmente accaduti durante l’occupazione nazista della città di Roma, dal settembre 1943 al 4 giugno 1944.

E infine, è proprio grazie al lavoro di Silvia Celani con Quello che si salva che ho scoperto come il palazzo in via Tasso, che durante i mesi dell’occupazione nazifascista di Roma fu sede del Comando del Servizio di Sicurezza delle SS, sotto la guida del colonnello Herbert Kappler, sia oggi la sede del Museo Storico della Liberazione, che sarà sicuramente meta di una mia prossima visita.




Enigmi in camicia nera – edito da La Torre dei Venti

Tredici racconti ambientati nel Ventennio fascista

 

Enigmi in camicia nera. Tredici racconti curato da Daniele Cambiaso e Angelo Marenzana è pubblicato dalla casa editrice milanese La Torre dei Venti e ha come comune denominatore, l’ambientazione dei propri racconti nel periodo storico fascista.

Sul risvolto di copertina si legge come “Il dopoguerra ha visto le pagine della saggistica farla da padrona per sviscerare e raccontare la storia del regime e gli effetti nefasti della guerra” e, considerando come le pubblicazioni del ventennio fascista passassero tutte per una accurata censura togliendo, a noi posteri, l’occasione di leggere la quotidianità di quel periodo, si comprende come un raccolta di racconti come Enigmi in camicia nera possa colmare quel vuoto temporale.

 

 

Tutti e tredici i racconti ambientano trame e personaggi nel ventennio fascista sia nel territorio italiano che nelle colonie conquistate o nella realtà delle ambasciate all’estero. Non si parla mai direttamente del fascismo come pensiero politico e regime totalitario, bensì viene utilizzato come il palcoscenico dove dare vita ai diversi protagonisti con le loro avventure e disavventure.

Gli autori dei racconti, le cui biografie sono saggiamente inserite a fine testo, sono firme autorevoli del panorama italiano e inseriscono, spesso, avvenimenti realmente accaduti per dare vita a brevi racconti che rientrano perfettamente nel genere letterario del giallo, ricchi di suspence, indagini, investigazioni e alta tensione mantenendo ben alta l’attenzione del lettore.

Chi come me ha avuto modo di ascoltare, da genitori e nonni, aneddoti e ricordi di quel periodo storico, riconosce in lontananza nelle atmosfere di Enigmi in camicia nera, quella patina latente ma sempre presente di paura, quello stile di vita sempre con un’occhio aperto e uno chiuso, quella calma e quell’ordine da mantenere in superficie mentre dentro si andava alimentando un prurito sempre più esigente di scuotersi e di liberarsi.

Enigmi in camicia nera è un libro che consiglio perché, per guardare avanti con ottimismo e speranza, è necessario non dimenticare mai cosa si è vissuto in passato.

 

Ecco l’elenco alfabetico degli autori de Enigmi in camicia nera
Giorgio Ballario
Fiorella Borin
Daniele Cambiaso
Rino Casazza
Armando d’Amaro
Emanuele Delmiglio
Leonardo Gori
Giulio Leoni
Enrico Luceri
Angelo Marenzana
Lapo Sagramoso
Laura Segnalati
Flavio Villani




L’invenzione della felicità di Benedetta Gargano

«Uh, Bennussì! Farai, farai. Però visto che sto ancora qua, ti voglio dire l’ultima cosa.»

«E dimmela.»

«Per essere felici ci vuole coraggio.»

 

E se lo dice una donna di novantasette anni qualcosa di vero deve pur esserci!

L’invenzione della felicità è un delicato romanzo d’amore tra una nonna e sua nipote che si trovano a vivere a stretto contatto per un periodo della loro vita e lo fanno con coraggio, armate di sorrisi e tenerezza.

Romanzo autobiografico della sceneggiatrice partenopea Benedetta Gargano, L’invenzione della felicità è uscito a maggio 2021 per la casa editrice Solferino.

La trama prende il via nel momento in cui i figli di nonna Elisa decidono di sistemare la loro mamma novantasette in una casa di riposo. Questo evento provoca in Benedetta un pensiero assillante che non la lascerà in pace fino a quando non prenderà la decisione che cambierà per sempre il corso della sua vita: accogliere nella propria casa la nonna adorata.

Certo, non è un scelta facile, anzi, è una decisione coraggiosa perché tutto cambia in modo repentino quando un’altra persona si fa spazio nelle mura domestiche. Cambiano i ritmi, le abitudini e anche l’intimità matrimoniale ne risente.

Perché di spazio in casa ce n’è davvero poco tanto che Benedetta, con il marito Paolo, non hanno altra scelta se non quella di sistemare una brandina ogni sera nell’angolo studio di Benedetta, posizionare il vecchio tavolino con la lampada della nonna accanto alla poltrona e iniziare a condividere in tre, più la badante di turno, gli spazi ristretti del loro appartamento.

Una vita nuova ha inizio. Una vita assolutamente diversa da quella precedente dove la saggezza e le abitudini di nonna Elisa a volte sgomitano con i ritmi della giovane coppia ma, spesso, l’esperienza della nonna sarà il tocco sapiente per portare equilibrio e serenità all’interno della coppia.

Il romanzo è strutturato con un ritmo crescente intervallati da divertenti capitoli di conversazioni tra Elisa e Benussì con sapienti scambi di battute esilaranti.

«Un’ultima cosa. Ricordati che gli uomini sono come le cameriere. Cambi, e poi devi imparare i difetti di un’altra»

Il romanzo mette in luce un aspetto primario della vita di tutti noi perché,  se da un lato noi siamo coloro potrebbero cambiare le sorti della vita di chi ci ha preceduto, dall’altro ci fa domandare cosa potrebbe succederci nel futuro. In fondo, se la fortuna ci assiste, diventeremo tutti anziani e avremo bisogno di assistenza ma soprattutto di tante coccole, risate e chiacchiere.

L’invenzione della felicità è un testo tenerissimo, carico dei profumi della cucina, sapiente nell’equilibrare con saggezza il passato con il futuro, quel futuro invadente e determinante dei social che riesce a conquistare anche  nonna Elisa, felice di essere seguita dai suoi followers e gelosissima del suo iPad che lei battezza Daipan, ma è anche un testo che pone tanti interrogativi e fa riflettere. In fondo la vita è una ruota!

 




I Cariolanti di Sacha Naspini

Sacha Naspini, scrittore contemporaneo grossetano, pubblicato anche all’estero

 

I Cariolanti, edito da edizioni e/o e pubblicato nel 2009, è la storia di un uomo che si rifiuta di partecipare alla Prima Guerra e, temendo di essere arrestato per diserzione, preferisce imbucarsi con la moglie e il figlio Bastiano nel bosco per quattro lunghi anni.

Imbucarsi è proprio il verbo corretto visto che per l’intero conflitto i tre personaggi vivranno reclusi in un buco nascosto tra il fogliame e gli alberi. Un buco entro il quale convivono con la solitudine, con il freddo, con la paura e, soprattutto, con la fame.

Ed è proprio la fame la grande protagonista di questo romanzo di poco più di 170 pagine che racconta la formazione e la vita di Bastiano.

 

Te mica lo sai che cosa vuole dire nascere di traverso

 

E no, nessuno può capire cosa voglia dire nascere di traverso e la storia narrata è atroce, dura, crudele e brutale come solo la fame è in grado di essere e di deformare il pensiero più intimo di un essere umano.

Bastiano assisterà e si macchierà di atti così forti che verrebbe automatico tratteggiarne il personaggio come negativo eppure, leggendo I Cariolanti, il lettore non potrà fare a meno di affezionarsi al bambino e poi all’uomo e, senza arrivare a giustificare le sue azioni, giungerà alla fine del libro con la netta sensazione di prendere le sue parti e di comprendere il suo pensiero più intimo.

La vita di Bastiano è in un buco che non si riempie neanche quando esce dal ventre della terra. Quel suo buco avrà bisogno di essere costantemente colmato e quel dolore e quel bisogno di amore, resteranno per sempre stampati dentro di lui.

I Cariolanti è una storia forte, molto forte, che colpisce dritta allo stomaco senza andare più via. Ci si ripete che è solo un romanzo, frutto di immaginazione, che nulla di ciò che è letto può essere reale, eppure il dubbio resterà.

Per quanto sia crudele, crudo e devastante, leggere i Cariolanti è accogliere Bastiano dentro di sé, sotto la propria pelle, senza riuscire mai a giustificare le sue azioni e senza tentare mai di fargli cambiare idea.

Quanto può trasformarsi la vita di un uomo quando nella sua età di formazione e di crescita non ha avuto altro che privazioni e fame?

 

La fame arriva sempre un pelo prima.




La casa degli sguardi di Daniele Mencarelli

Primo romanzo vincitore del Premio Strega Giovani 2020

Quando uno scrittore nasce come poeta e si cimenta nell’arte del narrare non riesce mai a staccarsi completamente dalla sua anima sensibile e poetica e le pagine de La casa degli sguardi ne sono una straordinaria testimonianza.

Il romanzo è la storia dell’autore stesso, vittima di una grave forma di alcolismo, di depressione e di solitudine che accetta, per amore della famiglia ormai spaesata e impotente di fronte al declino del figlio, di andare a lavorare presso una Cooperativa all’ospedale Bambino di Gesù di Roma.
Quel lavoro sarà il mondo e il modo attraverso il quale riuscirà a rinascere.

Ne La casa degli sguardi, Daniele si confronterà con il dolore dei bambini malati, con la morte e con il dolore devastante dei genitori.

Situazioni reali che lo porteranno a chiedersi a cosa serva davvero vivere e costruire qualcosa se poi, all’improvviso, arrivano dolori e sofferenze inimmaginabili che distruggono e annientano l’uomo e verso i quali si è ancora totalmente impotenti.

«Il Bambino Gesù è un luogo di tortura, di maledizione, una trincea aperta da un bisturi, invisibile ai sani. È un posto per gente come me. Un posto che vince su ogni altro dolore scelto o imposto»

Eppure, sarà proprio il Bambino Gesù con tutti i suoi sguardi, la ritmicità di un lavoro che occupa le mani e lascia libera la mente di riflettere, le risate e la complicità di nuovi compagni di lavoro e i gesti amorevoli di chi lavora e opera all’interno della struttura, a offrire a Daniele la forza interiore necessaria per intravedere un nuovo futuro e per ricostruire un percorso alla propria vita, anche attraverso la sua grande capacità di scrivere. Un percorso difficile che l’autore riesce a descrivere in maniera eccellente.

 

«È questo tempo di passaggio tra quello che sono stato negli ultimi anni e quello che sarò, è la costruzione del nuovo me, ecco cosa mi terrorizza veramente.
Un individuo con interessi, relazioni, una vita riempita di normalità.

Tutte cose che non so più nemmeno pronunciare.
Attorno non ho nulla, nessuno.

Ho scavato una trincea e l’ho riempita di vino bianco.»

 

La casa degli sguardi scava nell’intimo di uomo che si confronta con grande lucidità con quella forza che lo spinge all’autodistruzione ma è anche la storia di un uomo che riesce a trovare la forza nello sguardo di un TocToc sul vetro di un ospedale, che si domanda, si confronta e non si perdona nulla.

Straordinaria la figura della madre. Una donna sempre più stanca e appesantita da tutti i vani tentativi di aiutare il figlio, che si addormenta sui gradini per vegliare il sonno del figlio, che lo accoglie con quel pranzo pronto. Una donna sempre presente, quasi un’ombra costante, una presenza invisibile. Una figura tenace che non si allontana mai, neanche quando le sue risposte appaiono dure mentre invece sono solo spinte per la salvezza del figlio.

 

«Mamma, io da oggi smetto, basta» […] Torna il silenzio, lei riprende quel che stava facendo, forse pulire per terra.

«Io t’ho fatto nasce, ma rinasce spetta solo a te»

 

 

Autore

Daniele Mencarelli è nato a Roma nel 1974 e vive da parecchi anni a Ariccia.
Ha iniziato a pubblicare libri di poesie nel 2001.
La casa degli sguardi è stato pubblicato nel 2018 e ha ottenuto diversi premi e riconoscimenti.

Nel 2020 ha pubblicato il secondo romanzo Tutto chiede bellezza arrivando finalista al Premio Strega e vincendo Premio Strega Giovani 2020.




I tonni non nuotano in scatola di Carla Fiorentino

Un viaggio tra i sapori e i profumi di Carloforte.

I tonni non nuotano in scatola è il romanzo di Carla Fiorentino uscito nel giugno 2020 per la casa editrice Fandango ed è sicuramente una storia che fa venire voglia di prendere un biglietto e partire.

Una mix tra un noir, una storia d’amore o una commedia I tonni non nuotano in scatola è la storia di Violetta, detta Vetta, una giovane giornalista romana che, per la necessità di ritagliarsi un po’ di tempo e chiarirsi le idee sulla sua relazione con il fidanzato, chiede e ottiene dal suo capo di raggiungere Carloforte per scrivere un articolo sulla mattanza della tonnara.
Diversi personaggi entrano in gioco, dal fascinoso sommozzatore Pietro, alla scontrosa proprietaria del Bed & Breakfast Caterinetta, alla Contessa pittrice fino all’eccentrico Zio Guru.

Lettura semplice che si divora in poche ore e che fa immergere il lettore nelle atmosfere, nei colori e nei sapori di Carloforte al punto che, terminato di leggerlo, vi ritroverete ancora a girare sull’isola.
Camminando con Vetta nel paese è impossibile non perdersi nei suoi carruggi, non sentire le grida della gente che si chiama a gran voce, non percepire il profumo delle alghe miste alla salsedine e all’odore del pesce, non ascoltare il brusio dei commensali ai tavolini all’aperto intenti a gustare la focaccia appena sfornata.

 

 

Il cibo, altro protagonista de I tonni non nuotano in scatola.

Si inizia con Vetta e Pietro seduti al tavolo del ristorante assaggiando il cascà, un piatto di origini arabe fatto di semola e verdure diventato poi un piatto base della cucina tabarchina con verza, ceci, carote e piselli per poi passare al tonno alla carlofortina e terminare con canestrelli e moscato.

In uno dei pranzi nella cucina di Caterinetta viene servita, in un piatto di ceramica antica, il pasticcio alla carlofortina con “cassulli, maccaruin e curzetti come vuole la tradizione” seguito da “una cassata, fatta rigorosamente con ricotta di pecora” mentre in una scena finale, il fidanzato di Vetta, prenota un cena nel miglior ristorante del paese per assaggiare i celebri spaghetti ai sette sughi di mare.

Curiosa di saperne di più sul pasticcio alla carlofortina ho scoperto che si tratta di un primo piatto di pasta rigorosamente corta e mista condita con la buzzonaglia, parte meno pregiata del tonno, pomodoro e pesto.

Come ci è arrivato il pesto, tipico condimento ligure, nella tradizione culinaria di un isola a sud della Sardegna?

Nuove ricerche e scopro l’arcano: infatti le origini degli abitanti dell’isola risalgono al 1540 quando un gruppo di pescatori di Pegli, rinomato quartiere del ponente genovese, decisero di abbandonare la propria terra per  avventurarsi a cercar fortuna sulle coste della Tunisia. Da lì, dopo diverse vicissitudini politiche, arriviamo al 1738 quando fu concesso ai pescatori pegliesi che vivevano a Tabarka, in Tunisia, di stabilirsi sull’isola abbandonata di San Pietro dove di stabilirono fondando la città di Carloforte.

Ecco spiegata, in pochissime righe, la forte identità genovese mantenuta sia nelle tradizioni che nel dialetto originale, il tabacchino, un mix di genovese, sardo e tunisino, ancora oggi parlato dagli abitanti di Carloforte.

 

Arrivati a questo punto, non so a voi, ma a me è venuta fame e non posso fare a meno di ringraziare Carla Fiorentino per I tonni non nuotano in scatola.


In un momento come quello che stiamo vivendo dove addirittura gli spostamenti tra regioni sono limitati, viaggiare attraverso le parole di un libro, diventa una boccata di ossigeno indispensabile.