Wonder: White Bird, il coraggio di essere gentili

L’ultimo mese è stato per il cinema decisamente fruttuoso, ricco di nuove uscite e tra queste, anche se poco conosciuto, merita un’attenzione particolare Wonder: White Bird.

Il film, diretto da Marc Forster e ambientato durante la seconda guerra mondiale, è uno spin-off del celebre Wonder con protagonista il personaggio di Julian Albans, a cui la nonna racconta un episodio doloroso del suo passato.

Quando iniziano i rastrellamenti in Alsazia, la giovane di quindici anni Sara viene salvata dalla famiglia di Julien, un ragazzo affetto da poliomelite con cui nel tempo nascerà un forte legame.

Helen Mirren, che recita la parte della nonna, è semplicemente strepitosa, riuscendo a far trasparire la sofferenza nel raccontare una storia così straziante e la forza nel cercare di conservarne il ricordo. Altrettanto commoventi le interpretazioni dei due protagonisti, sorprendentemente naturali nonostante la giovane età.

La pellicola ci mostra gli orrori del nazismo e della shoah, le crudeltà e le ingiustizie che milioni di ebrei subirono ogni giorno, in quanto privati di ogni tipo di libertà e costretti a separarsi dalle proprie famiglie e a morire per la propria religione. Presentandoci diversi esempi di umanità contrapposta alla malvagità, ci conferma come al mondo ci sia sempre un po’ di bene anche nel male, incitandoci ad aiutare sempre l’altro e, senza dubbio, a non ripetere in futuro gli stessi errori.

Altra tematica importante è inoltre quella del bullismo, tema di fondo e motivo del racconto. Il film infatti, ci presenta l’insensatezza di una cattiveria simile, che non fa altro che generare dolore nella persona presa di mira. Mai si dovrebbe giudicare o isolare qualcuno sulla base del suo aspetto o modo di fare, ma al contrario provare a parlarci, per poi sicuramente scoprire quanto i giudizi fossero infondati.

Oltre a ciò, in uno sfondo così cupo e drammatico che rende le lacrime inevitabili, a far luce è la storia d’amore tra i protagonisti, così innocente, pura ed estremamente tenera. Questa è il chiaro esempio che l’amore è in tutte le cose, in tutti i gesti e in ognuno di noi.

Dunque, è per tutte le tematiche toccate, particolarmente delicate ma fondamentali, che si consiglia la visione ad un pubblico giovane, che potrebbe imparare molto da tali lezioni su come comportarsi nel rapporto con l’altro, sull’importanza di essere sempre gentili e coraggiosi.

Virginia Porcelli

 




IL GHETTO INTERIORE di Santiago H. Amigorena

IL GHETTO INTERIORE

di Santiago H. Amigorena

Ed. Neri Pozza

 

 

C’è una cosa che veramente mi piace fare: rovistare e curiosare nelle bancarelle del mercato che vendono libri, usati. Grazie ad una mia carissima amica, ho ripreso da poco tempo questa sana abitudine e, come posso, vado alla ricerca. Di cosa? Vi chiederete. Beh, chi rovista tra i volumi, aspetta il richiamo di quel titolo, o di quella copertina, o di quell’incipit particolare. Appena lo trova, lo agguanta e lo tiene ben stretto, per paura che qualcun altro, appassionato come lui, o lei, glielo sottragga.

Questo mi è recentemente successo con il libro che vi propongo questa settimana, Il ghetto interiore ha catturato la mia attenzione soprattutto per la casa editrice: Neri Pozza è una delle mie preferite. Poi anche per la frase in quarta di copertina:

 

“Una delle cose più terribili

dell’antisemitismo è non permettere

a certi uomini e certe donne

di smettere di pensarsi come ebrei,

è confinarli al di là del loro volere

in quell’identità, è decidere,

definitivamente, chi sono”.

 

In questo romanzo si vive la tragedia dell’ Olocausto da lontano: Vicente emigra in Argentina da ragazzo quando il sentore della tragedia era ancora molto flebile. Si sposa, inizia un’attività commerciale, esce con gli amici, fa la bella vita, è libero. Prova, senza molta convinzione, a farsi raggiungere dai suoi familiari, ma il ricongiungimento non avviene, non avverrà mai.

La corrispondenza con sua madre si affievolisce sempre più, finchè un giorno, all’inizio del 1940, Vicente riceve da lei una lettera drammatica. L’odio razziale in Polonia e nel resto dell’Europa è esploso, gli ebrei iniziano ad essere perseguitati, poi affamati, deportati e uccisi.

Il parallelismo tra il momento in cui il protagonista esce a cena con gli amici e nello stesso tempo i generali delle SS ideano il piano per sbarazzarsi di un milione di ebrei, è sconvolgente.

Le lettere sono sempre più sporadiche e devastanti, Vicente torna ad essere Wincenty; non più il marito, il dandy, il padre, ma solo Wincenty l’ebreo polacco.

Oltreoceano non si voleva vedere, o si faceva finta di non vedere ciò che stava succedendo in Europa, i fuggitivi superstiti portavano notizie talmente terribili alle quali gli americani stentavano a credere.

Ho letto tanti romanzi sulla deportazione e sull’ Olocausto, ma in queste righe c’è un valore aggiunto alla sofferenza: il senso di impotenza di Wincenty che lo condurrà poco a poco al mutismo e all’isolamento dagli altri, sfinito dal non essere in grado di fare qualcosa.

 

“Il ghetto è come un sacco di semi.

I tedeschi, di tanto in tanto, mettono la mano nel sacco e ne traggono un pugno.

I semi che sfuggono tra le dita, hanno un po’ di respiro”.

 

SINOSSI

Vicente Rosenberg arriva in Argentina nel 1928, con pochi soldi e una lettera di raccomandazione di suo zio . Si inserisce benissimo in quella liberà città, fa amicizie, si sposa, diventa padre e inizia a gestire il negozio del suocero. Non sa quello che invece sta succedendo in Polonia e non immagina minimamente ciò che di terribile succederà a sua madre e alla sua gente. Finché un giorno iniziano ad arrivargli delle lettere drammatiche proprio da sua madre, e il suo essere un ebreo polacco riaffiorerà e lo costringerà in un suo ghetto interiore.




“IO NON MI CHIAMO MIRIAM” di Majgull Axelsson Ed. Iperborea

 

Ho letto di questo romanzo spulciando notizie sull’etnia rom per un mio personale studio, poi grazie agli algoritmi mi sono comparse diverse recensioni e mi ha incuriosito sempre più. Devo ammettere che non è stata una lettura facile anzi, a tratti faticosa come si dovesse scalare una montagna, nonostante negli anni avessi letto diverse cose sul tema Olocausto. Non avevo però idea di ciò a cui i rom sono stati sottoposti durante quel periodo nero della nostra storia.

L’autrice scrive la storia di Miriam in prima persona, con uno stile intimo che scava negli strati più profondi dell’Io; frasi dolorose, ma senza mai scadere nel patetico.

 

Sono passata per l’inferno, so cosa significa vivere all’inferno, e per questo non concedo niente a chi si crea il proprio inferno amatoriale per poi fingere di non poterne uscire.

 

Dell’inferno di cui parla Malika, alias Miriam, non ero a conoscenza; tutti noi sappiamo bene cosa hanno dovuto subire gli ebrei con le deportazioni e i campi di concentramento, conosciamo i terribili numeri del genocidio. Quasi nessuno però sa cosa è stato inflitto al popolo rom: non avevano la divisa a righe e non venivano loro tagliati i capelli, non erano messi con gli altri, ma tenuti da parte. I bambini addirittura nutriti un po’ meglio, ma per un unico abominevole motivo: gli esperimenti scientifici.

L’autrice ci parla di come questi piccoli e indifesi esseri umani venissero trattati da cavie. Leggiamo increduli, delle atrocità commesse in nome della scienza da medici come il famigerato dottor Mengele.

Nonostante la fame e la paura, una sera di maggio del 1944 il popolo  rom si è ribellato ai nazisti in quella che è passata alla storia come “La notte degli zingari”.

Malika veste gli abiti di un’ebrea, vive una vita non sua, ha sempre paura di essere smascherata, si nasconde ogni giorno. In certi tratti della storia abbiamo veramente paura con lei. Finchè il giorno del suo compleanno, scartando un pacchetto con un sospiro svela la verità.

Majgull Axelsson ci racconta una storia sul coraggio, sulla fiducia e sull’aggrappamento alla vita, numerosi sono i riferimenti a fatti accaduti e a persone veramente esistite: la famiglia è il perno su cui ruota questo romanzo, una famiglia distrutta ed un’altra faticosamente costruita.

Continuare a leggere di quel periodo tristissimo non vuol dire solo non dimenticare, vuol dire tramandare quella paura per fare in modo che non succeda mai più.

 

Ai rom non era stato offerto nessun risarcimento. Non erano stati sterminati per ragioni razziali, avevano spiegato le autorità tedesche dopo la guerra, ma perché erano criminali.

 

SINOSSI

 

“Io non mi chiamo Miriam” dice la protagonista il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno quando il figlio le regala un bracciale d’argento di un artigiano zingaro con inciso il suo nome. Una verità celata per quasi settant’anni: si chiamava in realtà Malika, non era ebrea ma rom questa ragazzina che, per non farsi fucilare, infilò i vestiti di una coetanea morta durante il viaggio di deportazione. Prima per sfuggire alla morte, poi alla discriminazione, Miriam finora non ha mai rivelato a nessuno questo terribile segreto, ma i fantasmi del passato non le danno tregua e i suoi cari dovranno sapere.

 




27 Gennaio: Giornata della Memoria

Libri per non dimenticare l’Olocausto

Nel 2005, in occasione del sessantesimo anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti e della fine dell’Olocausto, l’Assemblea generale delle Nazioni Uniti designò il 27 gennaio di ogni anno come la Giornata della Memoria.

Una data non scelta a caso visto che rappresenta l’arrivo dell’Armata Rossa, il 27 gennaio 1945, nel campo di concentramento di Auschwitz con la liberazione di tutti i prigionieri sopravvissuti e ormai abbandonati dai nazisti. L’apertura di quei cancelli rivelarono al mondo il terribile e ignobile genocidio nazifascista perpetrato al popolo ebraico e non solo.

Non si conosce il numero esatto delle vittime perché non esiste alcuna documentazione tenuta da funzionari nazisti che contenga il numero esatto dei morti causati dall’Olocausto. Quando i tedeschi iniziarono a capire che avrebbero perso la guerra, iniziarono a distruggere la maggior parte dei documenti esistenti così come le prove dello sterminio di massa.
In base ai dati riportati dall’Enciclopedia dell’Olocausto, si stima che gli ebrei furono 6 milioni e che altri 10 milioni furono uccisi tra la popolazione civile e miliare sovietica. A questi si devono aggiungere le vittime polacche, italiane, serbe, gli zingari, gli omosessuali, i testimoni di Geova, i portatori di handicap fisici e mentali e gli oppositori politici tedeschi.
Un vero e raccapricciante sterminio perpetrato dalla furia nazista per la supremazia della razza ariana.

Con il passare degli anni, sono davvero pochi i testimoni che possono, con le loro parole, parlarci con dovizia di particolari delle indescrivibili sevizie, torture e barbarie che degli uomini abbiano inflitto ad altri uomini. Abbiamo, però, la testimonianza che ci viene dai libri scritti.

Leggerli onora la memoria e ci riavvicina alla storia affinché ciò non si ripeta più e l’uomo possa imparare a discernere il male e la follia di un singolo sulla massa.

La lista di libri che meritano di essere letti è molto più ampia di quella che vi propongo, ma questi li ho amati particolarmente e ogni anno li apro a caso per leggerne qualche brano e ricordarmi fino a che punto possa arrivare la malvagità umana.

 


Diario
di Anna Frank
Se questo è un uomo di Primo Levi
La memoria rende liberi di Liliana Segre e Enrico Mentana
Il tatuatore di Auschwitz di Heather Morris