“IO NON MI CHIAMO MIRIAM” di Majgull Axelsson Ed. Iperborea

 

Ho letto di questo romanzo spulciando notizie sull’etnia rom per un mio personale studio, poi grazie agli algoritmi mi sono comparse diverse recensioni e mi ha incuriosito sempre più. Devo ammettere che non è stata una lettura facile anzi, a tratti faticosa come si dovesse scalare una montagna, nonostante negli anni avessi letto diverse cose sul tema Olocausto. Non avevo però idea di ciò a cui i rom sono stati sottoposti durante quel periodo nero della nostra storia.

L’autrice scrive la storia di Miriam in prima persona, con uno stile intimo che scava negli strati più profondi dell’Io; frasi dolorose, ma senza mai scadere nel patetico.

 

Sono passata per l’inferno, so cosa significa vivere all’inferno, e per questo non concedo niente a chi si crea il proprio inferno amatoriale per poi fingere di non poterne uscire.

 

Dell’inferno di cui parla Malika, alias Miriam, non ero a conoscenza; tutti noi sappiamo bene cosa hanno dovuto subire gli ebrei con le deportazioni e i campi di concentramento, conosciamo i terribili numeri del genocidio. Quasi nessuno però sa cosa è stato inflitto al popolo rom: non avevano la divisa a righe e non venivano loro tagliati i capelli, non erano messi con gli altri, ma tenuti da parte. I bambini addirittura nutriti un po’ meglio, ma per un unico abominevole motivo: gli esperimenti scientifici.

L’autrice ci parla di come questi piccoli e indifesi esseri umani venissero trattati da cavie. Leggiamo increduli, delle atrocità commesse in nome della scienza da medici come il famigerato dottor Mengele.

Nonostante la fame e la paura, una sera di maggio del 1944 il popolo  rom si è ribellato ai nazisti in quella che è passata alla storia come “La notte degli zingari”.

Malika veste gli abiti di un’ebrea, vive una vita non sua, ha sempre paura di essere smascherata, si nasconde ogni giorno. In certi tratti della storia abbiamo veramente paura con lei. Finchè il giorno del suo compleanno, scartando un pacchetto con un sospiro svela la verità.

Majgull Axelsson ci racconta una storia sul coraggio, sulla fiducia e sull’aggrappamento alla vita, numerosi sono i riferimenti a fatti accaduti e a persone veramente esistite: la famiglia è il perno su cui ruota questo romanzo, una famiglia distrutta ed un’altra faticosamente costruita.

Continuare a leggere di quel periodo tristissimo non vuol dire solo non dimenticare, vuol dire tramandare quella paura per fare in modo che non succeda mai più.

 

Ai rom non era stato offerto nessun risarcimento. Non erano stati sterminati per ragioni razziali, avevano spiegato le autorità tedesche dopo la guerra, ma perché erano criminali.

 

SINOSSI

 

“Io non mi chiamo Miriam” dice la protagonista il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno quando il figlio le regala un bracciale d’argento di un artigiano zingaro con inciso il suo nome. Una verità celata per quasi settant’anni: si chiamava in realtà Malika, non era ebrea ma rom questa ragazzina che, per non farsi fucilare, infilò i vestiti di una coetanea morta durante il viaggio di deportazione. Prima per sfuggire alla morte, poi alla discriminazione, Miriam finora non ha mai rivelato a nessuno questo terribile segreto, ma i fantasmi del passato non le danno tregua e i suoi cari dovranno sapere.