Senza coda di Marco Missiroli

Senza coda è l’esordio letterario di Marco Missiroli uscito nel 2005 per la casa editrice Fanucci e ripubblicato da Feltrinelli nel 2017.

Un romanzo breve, poco più di 150 pagine, sufficienti per raccontare la fine dell’infanzia del piccolo Pietro costretto dal padre a compiere delle azioni che non vorrebbe fare.

«Fra tre giorni ci vai da Carmine, a papà?»

E Pietro non può fare altro che obbedire perché è quello il clima che si respira in famiglia, con un padre autoritario, una madre che ha spesso delle strane macchie gialle sulla pelle e degli uomini in divisa di guardia al cancello. Non può fare altro che obbedire e consegnare delle strane lettere bianche a quell’uomo tenebroso dalle reazioni imprevedibili.

 

 

Nel giardino di casa, in una Sicilia mai nominata ma riconoscibile e ben presente, condivide con il giardiniere Nino la sua grande passione di cacciatore di lucertole.

Adora catturare le lucertole per tagliar loro le code che colleziona in grandi barattoli colmi di alcool. È impressionato dall’incredibile strategia di questi animali di lasciare andare la coda quando sentono il pericolo, che è ciò che pian piano capisce di dover fare anche il piccolo Pietro.

Pietro inizia a intuire che non può più restare fermo senza agire, che anche lui, di fronte al pericolo, è costretto a lasciar andare la sua coda e affrontare la situazione.

«Io sono senza coda!» urla Pietro ridendo

Senza coda è un romanzo che lascia convivere tra le sue pagine una incredibile dolcezza e una brutale violenza; è l’incalzante quotidianità fatta di malaffare e di crudeltà, di obbedienza ma anche di consapevolezza.

Missiroli è bravissimo a narrare senza dire, a lasciare intendere senza dichiarare accompagnando il lettore verso il finale che, per quanto sperato, resta comunque inaspettato.

Senza coda si legge in poche ore ma resterà a lungo nella mente di chi legge.




Gli aerostati di Amélie Nothomb

29° romanzo della famosa scrittrice belga pubblicato in Italia dalla Voland

 

Amélie Nothomb è una scrittrice belga figlia di un diplomatico e ha vissuto per lunghi periodi in Giappone, Cina, Stati Uniti e Bangladesh.
Per sua scelta scrive e pubblica un libro all’anno, alle fine di agosto, ed è tradotta e pubblicata in Italia dalla casa editrice romana Voland con la traduzione di Federica Di Lella.

Gli aerostati è il suo 29° romanzo pubblicato a febbraio del 2021. È l’incontro tra una giovane studentessa di filologia, Ange e il sedicenne Pie, dislessico, appassionato di matematica, di armi e di aerostati e figlio unico di una coppia di genitori disfunzionali: il padre presente fino all’inverosimile e la madre anaffettiva e collezionista di porcellane su internet.

 

 

Tutto ha inizio con Ange che accetta l’annuncio del padre di Pie che cerca qualcuno che possa aiutare e sostenere il figlio con le lezioni di letteratura. Da questo avvenimento si snoda l’intero romanzo, breve per numero di pagine, ma intenso e carico di inquietudine per il dialogo serrato e significativo tra i diversi personaggi.

L’elenco dei classici della letteratura che Ange fa leggere al giovane allievo per curarlo dalla sua dislessia sono di notevole spessore: Il Rosso e il Nero, Iliade, L’Odissea, La Metamorfosi, L’idiota, Il diavolo in corpo.

Scelte letterarie che permetteranno all’autrice di creare dialoghi originali e scanzonati tanto che il romanzo di Stendhal diventa il libro «tipico esempio di letteratura per ragazzi» o per «finocchi», oppure Iliade che trova «un libro fantastico. Finalmente una storia che parla di grandi cose!» Per arrivare a definire «Ulisse? Quel verme! Il famoso tranello del cavallo di Troia è un’infamia!» mentre Achille diventa «una caricatura dell’eroe americano».

La capacità di Nothomb di legare a sé il lettore è superba: impossibile iniziare a leggerlo e non correre senza fiato verso la fine. I dialoghi sono una vera e propria scuola letteraria e in finale, non mancano colpi di scena eclatanti tanto che il romanzo sfuma in inaspettate tinte noir.

Sull’intero romanzo aleggia la domanda se la letteratura possa davvero aiutare a vivere, a risolvere delle problematiche se non, addirittura, a innescare delle diaboliche soluzioni:

«Il mio effetto su di lui era stato quello di trasformarlo in un lettore della grande letteratura. La quale tutto è fuorché una scuola di innocenza. Eschilo, Sofocle, Shakespeare, per citare solo alcuni nomi, avrebbero ordinato a un giovane di valore di fare fuori delle carogne simili»

Ange si dà questa risposta e, personalmente, non posso che darle ragione: i grandi classici della letteratura hanno la forza di irrompere con determinazione nella mente umana e talvolta, se non contestualizzati, far anche perdere il filo della ragione.




Cuore di serpente di Giovanni Montini

Romanzo dalle tinte noir edito da Bertoni Editore

 

Cuore di serpente è il terzo romanzo di Giovanni Montini edito da Bertoni Editore uscito a settembre 2022 e ambientato negli anni ’70 in una villa al mare del Circeo.

Il protagonista di Cuore di serpente è Giulio, uno scrittore quarantenne, omosessuale e squattrinato che accetta l’invito dell’amica Francesca – un’avvenente redattrice di una testata di gossip, attenta alla linea e alle apparenze – sperando di ritrovare la carica giusta per tornare a scrivere.

Nella bella villa in riva al mare con la sua Olivetti Lettera 22, Giulio incontrerà ciò che non si sarebbe mai aspettato: il fascino passionale della giovinezza nella figura del ventenne Gabriele. Conturbante personaggio figlio di prime nozze del padrone di casa, Andrea, e cresciuto con le amorevoli premure dalla seconda moglie, Francesca.

Lo stile di Cuore di serpente rientra nel genere noir con quel tocco di sentimentale tanto da poterlo definire un “noir sentimentale” e visto che la trama è avvincente, con inaspettati colpi di scena di tutto rispetto e un ritmo narrativo ben studiato, non posso certo procedere con il narrarvi la trama per non togliervi il gusto di girare le pagine. Posso, però, parlarvi dei personaggi e, in primo luogo, del protagonista Giulio, un uomo dolce e timoroso, tenero e poco sicuro di sé che fa fatica a dichiarare al mondo la propria omosessualità e di questo ne soffre in silenzio:

«Tutti nella vita tradiamo, e non solo i nostri partner. Nell’amicizia, sul lavoro, anche i nostri genitori. Io ho tradito la fiducia di mio padre perché gli ho fatto credere che mi piacevano le donne. Da quanto gli ho confessato di essere gay non ci parliamo più, ma io mi sento libero perché gli ho detto la verità. Non lo tradisco più. Ti pare poco?»

E già perché non dichiarare, in fondo, è un po’ tradire e Giulio è così sensibile e vulnerabile che assorbe su di sé questa mancanza di coraggio incupendosi e piegandosi su sé stesso perché «Preferiva soffrire, struggersi per un amore irraggiungibile, solo dal dolore Giulio riusciva a trarre nutrimento, l’unica forma di esistenza

E Giovanni Montini è bravo a evidenziare questo tema come una sotto traccia del romanzo visto che, a mano a mano che la vicenda si ingarbuglia e tiene il lettore legato alle sue pagine, ecco che emerge la difficoltà del coming out nel periodo storico degli anni ’70.

 

 

A rafforzare questa tematica e a fare da contraltare, troviamo il personaggio di Francesca, la padrona di casa, donna arrampicatrice, manipolatrice, pettegola e, soprattutto, falsa disposta a tutto pur di soddisfare la propria sete di soddisfazione personale e professionale.

La figura di Francesca appare sin dalle prime battute contorta e ambigua e, allo tesso tempo, risulta come metafora della società che ci vuole tutti inquadrati in un mondo standard, politically correct e senza sbavature, dove esteriormente si finge di accettare le differenze dell’altro per poi sparlarne e denigrarlo non appena se ne ha occasione.

Cuore di serpente ha due piani di lettura che si alternano con maestria. Se da un lato si segue l’avvicendarsi degli avvenimenti con trepidazione, dall’altra si ha modo di vivere con tenerezza l’improvvisa storia d’amore senza mai cadere nel banale o nel già letto, anche quando si tratta della descrizione di scene di sesso.

Una lettura piacevole e snella che avvince e riporta indietro nel tempo quando non c’erano ancora i cellulari e per telefonare a qualcuno si doveva sperare di trovarlo in casa, quando per scrivere si usavano le risme di carta e il tempo sembrava appartenerci un po’ di più.




I miei stupidi intenti di Bernardo Zannoni

Il più giovane vincitore del Premio Campiello

Vincitore della sessantesima edizione del Premio Campiello 2022, I miei stupidi intenti è il romanzo di esordio di Bernardo Zannoni edito dalla Sellerio Editore.

Il protagonista e voce narrante è Archy, una faina zoppa che sin dall’incipit ha ben chiaro cosa voglia dire essere un animale e dover affrontare le difficoltà della vita per sopravvivere.

«Mio padre morì perché era un ladro. Rubò per tre volte nei campi di Zò, e alla quarta l’uomo lo prese. Gli sparò nella pancia, gli strappò la gallina di bocca e poi lo legò a un palo del recinto come avvertimento. Lasciava la sua compagna con sei cuccioli sulla testa, in pieno inverno, con la neve»

E saranno proprio le difficoltà per la sopravvivenza a spingere la madre a scambiare il piccolo Archy per una gallina offrendolo ad un usuraio, la vecchia volpe Solomon presso il quale Archy proverà sulla pelle la paura, la solitudine, la tristezza ma imparerà anche il potere di saper leggere e scrivere, scoprirà Dio, la morte e si raffronterà con la propria coscienza.

Zannoni, utilizzando come espediente un’animale, conduce il lettore in un’analisi tra istinto e ragione con un risultato sorprendente, mai pesante e con dialoghi essenziali e efficaci

«Sa cos’è la morte, Archy?»
«È quando gli altri se ne vanno. Si addormentano per sempre»
«La morte è la prima volontà di Dio. […] E gli altri non c’entrano nulla, perché tocca a ciascuno di noi»

Sarà proprio la consapevolezza della morte che indurrà Archy a fare i conti con sé stesso e con il mondo che lo circonda; come animale non «mi era mai balenato in testa di poter morire. […] La morte aveva toccato chi mi circondava, mai me.» Un continuo raffronto con il mondo animale a cui appartiene e con la realtà dell’uomo verso il quale si sente sempre più vicino e simile.

La coscienza di Archy diventa l’altro protagonista in controluce, come una sottile velina che copre la storia. Archy si tortura per le proprie pulsioni che si scontrano con la ragione. Saranno la fame, il sesso e gli istinti animaleschi che si evolveranno sempre più verso una concezione umana.

 

 

I miei stupidi intenti è impostato come una fiaba ma si comprende sin da subito come voglia (e ci riesce benissimo!) trattare temi filosofici fondamentali come la religione, il senso della vita e, soprattutto, il significato della morte.

Un esordio letterario sorprendente vista la giovane età di Bernardo Zannoni. In una intervista ha dichiarato di aver iniziato il romanzo a soli 21 anni e se questi sono i risultati ottenuti non ci resta che congratularsi con lui e aspettare quale altra magia ci riserverà in futuro.

L’unica caduta di stile, a mio avviso, è stata la scelta del nome per la volpe: chiamarla con un nome ebraico, Salomon, e fargli interpretare il ruolo di usuraio mi sembra una mossa stereotipata.




La composizione del grigio di Sara Notaristefano

«Pertanto solo nel grigio coesistono la presenza di tutti i colori e loro assenza, la realizzazione dei colori e la loro perdita, la nascita e la morte.»

La composizione del grigio è un romanzo di formazione di Sara Notaristefano pubblicato per la casa editrice Divergenze ad aprile 2021.

Tutti i protagonisti del romanzo non hanno un nome proprio ma sono semplicemente la mamma, il papà, la zia, la nonna così come la protagonista, la voce narrante, che racconta la sua storia in prima persona iniziando dalla sua infanzia fino a diventare adulta e da figlia divenire anch’essa madre.

Il nucleo centrale della storia è racchiuso nei difficili rapporti famigliari quando, oltre al classico trio padre/madre/figlia, si aggiunge la pesante presenza del “male oscuro” di cui è affetta la madre e le relative conseguenze soprattutto quando questa non viene considerata dal padre come una reale malattia bensì come una mancanza di volontà «Riteneva la malattia della moglie una fissazione, un masochistico puntiglio, un amore malato, e considerava gli psicofarmaci dei placebo»

Se da un lato la trama del romanzo sembra seguire un iter quasi scontato, come l’inesistente dialogo con la madre, un tenero affetto nei riguardi del padre sebbene burbero e all’antica, il desiderio di studiare lontano da casa pur di allontanarsi, l’incontro con un uomo, il successo lavorativo e infine il matrimonio e la maternità, dall’altro la bravura di Sara Notaristefano nello stile stilistico adottato, ci permette di seguire l’autoanalisi, le sofferenze e lo sviluppo emotivo conquistato della protagonista senza cadere nel già visto e già letto.

Procedendo nella lettura del romanzo, si percepisce l’innalzamento di un vero e proprio muro che la protagonista crea per difendersi dalla paura di amare, per la difficoltà di esprimere i sentimenti, come quando inizia a vivere «come studentessa fuori sede in un’amena cittadina di montagna molto distante dalla mia città natale: più chilometri avessi messo tra me e quest’ultima, più chances avrei avuto di rifarmi una vita» dove le montagne con le quali si circonda sembrano rappresentare le barriere che prova nel relazionarsi con la madre e, successivamente, con la propria figlia fino a realizzare come per entrambe sia stato difficile pronunciare la parola mamma, la parola d’amore per antonomasia.

Sara Notaristefano è davvero abile nel far percepire la distanza che la protagonista crea con tutto ciò che la circonda e che la soffoca. L’essere così algida, così distaccata nella scelte dei dialoghi, nell’uso degli aggettivi e nel ritmo narrativo usato riescono a calare il lettore nel disagio e nella freddezza che vive la protagonista stessa.

 

 

La depressione, come dichiara la nonna […] non è contagiosa? eppure le conseguenze e i disagi si ripercuotono su tutta la famiglia con esiti spesso devastanti e determinanti per le scelte future e Sara Notaristefano riesce ad affrontare con maestria il non facile solco tracciato dalla depressione.

E poi ci sono i colori! I colori che sembrano ricoprire la storia come una carta velina posta al di sopra e che si sbriciola e si sfuma a mano a mano che si giunge alla conclusione del romanzo. I colori sono parte integrante della trama e non solo il vezzo con il quale intitolare i capitoli: la prima parte con il bianco, il giallo, il rosso, il ciano; la seconda viene intitolata al nero, e infine si arriva al grigio.

«Non ha luminosità il nero. Assorbe la luce, la divora, la fagocita e non ne restituisce alcun raggio. È il colore più avido che ci sia, l’esasperazione egoistica del grigio quanto il bianco ne è quella altruistica.»

Come in un percorso di nascita e rinascita, la protagonista attraverserà le diverse fasi della sua vita con i diversi colori fino alla consapevolezza del grande valore del grigio, il colore della pienezza, perché in fondo è sempre nell’insieme di tutte le verità che si raggiunge la piena serenità del sapere vivere e convivere con sé stessi e con gli altri.




L’estate che sciolse ogni cosa di Tiffany McDaniel

Esordio letterario e best seller edito in Italia da Atlantide Edizioni

 

L’estate che sciolse ogni cosa è il romanzo di esordio di Tiffany McDaniel uscito negli Stati Uniti nel 2016 e diventato in breve un best seller. In Italia è arrivato nel 2017 grazie alla casa editrice Atlantide Edizioni con la traduzione di Lucia Olivieri.

La voce narrante è quella dell’ottantaquattrenne Fielding Bliss che racconta la caldissima estate del 1984 quando aveva solo tredici anni e suo padre, il giudice Autopsy Bliss, pubblica sul giornale locale un’invito particolare:

Egregio Satana, Diavolo chiarissimo, esimio Lucifero e tutte le altre croci che siete costretto a sopportare, vi invito cordialmente a Breathed, in Ohio. Terra di colline e di balle di fieno, di peccatori e di uomini capaci di perdonare. Che possiate venire in pace.

E il diavolo si presenta davvero sotto le sembianze di un ragazzino nero, Sal (dalle iniziali di Satana e Lucifero) con indosso una logora tuta di jeans, e con gli occhi di un verde intenso come a ricordare il paradiso.

Il caldo arrivò insieme al diavolo. […] C’era da aspettarselo che arrivassero insieme. Dopo tutto, il caldo non è forse il volto del diavolo? E a chi è mai capitato di uscire di casa senza portarselo dietro?

Nel corso di quella torrida estate nasce e si consolida l’intensa amicizia tra Bliss e Sal che li porterà a vivere sulla propria pelle il male che si annida sia nella società statunitense che nella piccola comunità di Breathed. Saranno i comportamenti dei vicini di casa, dei compagni di scuola, dei semplici conoscenti a far emergere temi come il razzismo, il dramma dell’AIDS e il tabù dell’omosessualità.

Argomenti che restano avvinghiati al pensiero di tanti e che ne determinano i comportamenti, le discrepanze e le divergenze fino ad arrivare a trasformare persone che sembrano essere per bene in catalizzatori e portatori di male.

 

 

La scrittura di McDaniele è coraggiosa, conturbante e spietata e i dialoghi sono diretti e le domande che Bliss pone a Sal conducono piano piano il lettore a chiarire come in ciascuno di noi viva e conviva sia il male che il bene.

«Pensavo, se tu sei il diavolo, hai incontrato Dio. Com’è?» […] Sal si sollevò su un gomito e mi chiese di raccontargli di un giorno in cui mi ero sentito amato.»

Tiffany McDaniel ha creato un intenso romanzo di fiction letteraria toccando temi non semplici ma riuscendo a estrapolarli per renderli accessibili, possibili quasi avvicinabili. Il male esiste nella stessa misura in cui esiste il bene e noi umani possiamo solo imparare a conviverci equilibrando e dosando i due pesi. Il nostro pensiero e le nostre azioni hanno bisogno di controllo perché raccolgono in sé sia il male che il bene e le conseguenze segnano per sempre sia noi che chi ci vive accanto.

Se dovessi trovare un difetto in L’estate che sciolse ogni cosa, sicuramente direi l’uso eccessivo e ridondante di metafore ma è una piccola cosa davanti ad un romanzo ben strutturato, con argomenti riflessivi importanti e con una trama assolutamente non banale.

«Perché quei lacci sono ogni cosa, e quando ogni cosa rimane slacciata, si finisce per inciampare anche se si va in giro scalzi»




Di seconda mano di Chris Offutt

Raccolta di racconti editi da Minimum Fax

 

Di seconda mano è una raccolta di racconti dello scrittore americano contemporaneo Chris Offutt pubblicato dalla casa editrice romana Minimum Fax e uscito a luglio 2022 con la traduzione di Roberto Serrai.

Leggere racconti è un po’ come sedersi ad un tavolino di un bar e ascoltare di nascosto le chiacchiere dei vicini. Non arriverà l’intera storia ma solo uno stralcio. Non si conosceranno le vicissitudine prima e dopo quell’intervallo di tempo in cui si ha avuto modo di ascoltare e spesso non si saprà neanche come andrà a finire ed è proprio questo il fascino del racconto: riportare una storia succinta, incisiva, determinante senza entrare troppo nelle descrizioni, lasciando al lettore ampia possibilità di immaginare.

Di seconda mano raccoglie storie intime di solitudine, disagi e povertà dove non si trovano gli Stati Uniti stereotipati del sogno americano bensì quella degli ultimi, dei dimenticati, di coloro che non fanno notizia, in poche parole quelli di seconda mano, di coloro che fanno fatica ad andare avanti, coloro che non hanno più santi ai quali rivolgersi, coloro che si adattano e sopravvivono.

Chris Offutt ha una penna che non lascia spazio a alternative e i suoi personaggi sono pieni, tondi, indimenticabili.

 

 

Come la protagonista del primo racconto che dà il titolo al libro che impegna la cosa più preziosa che ha, un paio di stivali di pelle di struzzo, per regalare una bicicletta alla figlia del suo compagno per conquistarne la fiducia. Si può permettere solo un oggetto usato, da acquistare in un luogo dove «Ogni cosa, lì dentro, è appartenuta a gente al capolinea, e la loro disperazione la senti nell’aria» esattamente come lei che dichiara «I miei vestiti hanno già coperto il corpo di un altro. Anche il mio ragazzo prima era sposato» però è capace di rinunciare ai propri amati stivali perché «le mani di una bambina che tremano di gioia sono lo spettacolo più bello che abbia mai visto».

Chris Offutt ha un stile pungente e diretto che si intrufola nelle pagine senza inutili fronzoli per schermarsi nella mente del lettore togliendo il fiato perché sono personaggi sofferenti, soli e malmenati dal destino ma sono soprattutto persone reali, vere, concrete e sincere.

Il bello dei racconti è che non c’è bisogno di terminare il libro per fermarsi a riflettere; bastano poche pagine, anche sotto l’ombrellone, in riva ad un fiume o in cima ad una montagna, per leggere una storia e poi fermarsi a riflettere come Darla, la protagonista del terzo racconto che «si sdraiò nel letto basso del torrente, allargò le braccia e lasciò andare l’anello [fede nuziale]. L’acqua fredda le scorse sul volto, mescolandosi alle lacrime, e le sembrò che il torrente, adesso, sgorgasse dai suoi occhi

Non bastano questi brevi stralci per innamorarsi della scrittura di Offutt?




Atti di sottomissione di Megan Nolan

Grande successo internazionale per la scrittrice irlandese pubblicato in Italia dalla NNEditore

 

Atti di sottomissione è il romanzo di esordio della scrittrice irlandese Megan Nolan pubblicato dalla NNEditore nel settembre 2021 inserito nella neo collana Le fuggitive, con la traduzione di Tiziana Lo Porto.

Atti di sottomissione è un viaggio di legami, dipendenze, consapevolezza  e liberazione della protagonista femminile dal momento in cui, nel corso di un vernissage, si innamorata di un avvenente critico d’arte, Ciaran.

«… non era solo incredibilmente bello, il suo corpo irradiava anche un’immensa tranquillità. […] Lui non cercava nulla di ciò che aveva intorno. […] E anche se non sembrava particolarmente felice, appariva senza dubbio integro, come se contenesse tutto il suo mondo dentro di sé.»

Prima di incontrare Ciarana, lei vive in modo affamato il presente, perdendosi nell’eccesso di alcol, di cibo, di droghe e di sesso e diventa quasi automatico idealizzare la nuova relazione come la panacea di tutti i problemi confondendo l’aridità dei sentimenti di lui per una mera forma caratteriale, accettando di isolarsi dagli amici,  rinunciando ad uscire da sola, preferendo le condizioni imposte dal nuovo compagno piuttosto che guardarsi dentro e accettarsi.

 

 

Così la relazione che pare iniziare sotto i migliori auspici si rivela sempre più ostica, tossica e degradante fino ad arrivare a momenti di violenza.

La grandezza di Megan Nolan è da ricercare nella sua tecnica stilistica che permette al lettore di indossare realmente i panni della protagonista e di sentire con fermezza l’insoddisfazione, l’insicurezza, l’esigenza di sentirsi amata e accettata dagli altri per la sua paura della solitudine.

«Pensavo che una vita così – pulita, gentile e di nobili sentimenti – mi avrebbe garantito ciò che volevo veramente, ovvero conquistare più gente possibile, le loro attenzioni, il loro desiderio, la loro curiosità.»

Un viaggio doloroso ma allo stesso tempo salvifico perché è come la nascita di una donna, di una nuova donna che elimina a colpi di piccone le sue paure, convivendoci e prendendo in mano le redini della propria vita, smettendo di pensare che «l’amore di un uomo mi avrebbe riempito così tanto che non avrei più avuto bisogno di bere, mangiare, tagliarmi o fare di nuovo qualsiasi altra cosa al mio corpo. Pensavo che se ne sarebbe fatto carico al posto mio.»

Megan Nolan è una voce dirompente nel panorama letterario europeo e questo suo esordio raccoglie le insidie, le paure e il mal di vivere delle nuove generazioni dei Millennial riportando tutte le voci dell’essere giovani.




La figlia femmina di Anna Giurickovic Dato

La figlia femmina è il sorprendente esordio letterario della scrittrice catanese Anna Giurickovic Dato pubblicato dalla Fazi Editore nel 2017 e tradotto in cinque paesi tra cui Francia, Germania e Spagna ottenendo un successo di critica e di pubblico.

È la storia di Maria, la figlia e dei suoi genitori, Silvia e Giorgio con un segreto inconfessabile che scivola tra le loro vite segnandole in modo indelebile.

Paragonato ad una versione moderna di Lolita di Nabokov, la trama assume un sfumatura più sottile vista la scelta di dare la voce a Silvia, la madre. È lei che racconta, o forse è meglio dire che sussurra, la storia quasi fosse accaduta da un’altra parte, quasi non facesse parte di lei, quasi non la toccasse.

 

 

La trama del romanzo ha due piani temporali, una parte si svolge in Marocco a Rabat dove Giorgio è un diplomatico e la seconda parte a Roma dopo che un ulteriore evento drammatico sconvolge la vita della famiglia.

L’autrice, fin dalle prime pagine, rivela al lettore il rapporto incestuoso tra la piccola Maria e Giorgio ma è con l’evolversi della trama che riesce, con maestria e delicatezza, a evidenziare i drammi psicologici di tutti e tre i personaggi dando loro, di volta in volta, sia il ruolo della vittima che del carnefice.

«Dio almeno mi crede»
«Tutti ti crediamo»
«Tu non mi crederesti mai»
«A cosa non dovrei credere, Maria?»
«Che io sono il diavolo»
«Tu sei un angioletto, sei una bimba»
«Non è vero. Io il diavolo ce l’ho qua. […] Ma non lo so chi ce l’ha messo, ci sono nata così»

La figlia femmina è un libro duro, spietato, un vero pugno nello stomaco e l’abilità di Anna Giurickovic Dato è nell’essere riuscita a caratterizzare e scandagliare ciascun personaggio tenendo il lettore avvinghiato alla trama.

Giorgio è il cattivo? Forse, eppure parla con amore alla moglie «Sei la parte più importante della mia vita. Se qualche volta sono freddo o sono sgarbato è perché sento che mi sei indispensabile e questo mi fa paura. Provo a tenerti lontana, ma più ti allontano più mi sei vicina e il tuo grande amore per me è un laccio che non si slega»

Silvia è la cattiva? Forse è nella solitudine che si materializza il suo errore sebbene nella successiva consapevolezza si intravede uno spiraglio di salvezza «Vorrei poter dare la colpa a qualcuno, essere giovane e bella, aver tutto da imparare e non aver sbagliato ancora nulla»

La figlia femmina non lascia indifferenti per la capacità di trattare argomenti difficili che spesso si nascondono come tabù, per il ritmo narrativo non privo di grandi colpi di scena, per i dialoghi equilibrati e le ambientazioni perfette.

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Per chi volesse leggere anche altro di Anna Giurickovic Dato, nel 2020, sempre per la Fazi Editore, è stato pubblicato Il grande me.




Il cane di Falcone di Dario Levantino

Un’amicizia speciale tra un cane randagio e il magistrato palermitano

 

Il cane di Falcone di Dario Levantino è il quarto romanzo dello scrittore palermitano edito dalla Fazi Editore, con la prefazione di Maria Falcone, uscito in tutte le librerie nell’aprile del 2022 e già in ristampa.

Il romanzo è la storia di un’amicizia speciale tra un cane randagio e il magistrato palermitano e la trama prende spunto da un reale fatto di cronaca: la morte del cane randagio Uccio.
Non si sa da dove venisse ma, un giorno il cane arrivò e decise che la sua nuova dimora sarebbe stato il tappeto erboso ai piedi della statua di bronzo di Falcone e Borsellino eretta in loro onore, nel cortile del Palazzo di Giustizia di Palermo.

Questa notizia colpì la mente di Dario Levantino soprattutto perché, con il suo quotidiano contatto con gli studenti nel liceo di Monza dove insegna lettere, era nata in lui l’esigenza di spiegare la mafia in modo semplice e più facile. Nasce, quindi, come un testo per ragazzi ma, in realtà, Il cane di Falcone è un libro che oltrepassa l’età per arrivare al cuore del lettore.

 

 

Una caratteristica singolare e determinante del romanzo è quella della voce narrante visto che è proprio il cane Uccio a raccontare in prima persona la sua vita e il suo incontro con Giovanni Falcone e questo insolito punto di vista permette di scandagliare e mettere in risalto i tormenti, la solitudine e la bontà dei protagonisti.

Il cane di Falcone si completa con una struttura narrativa specchiata dove l’amico a quattro zampe e il magistrato si ritrovano a vivere le stesse solitudini e a soffrire per gli stessi stati d’animo.

Uccio risponde al magistrato ogni volta che Falcone gli pone delle domande, ma è inutile perché l‘uomo non è in grado di capire, di ascoltare, esattamente come diversi figure a livello politico e giudiziario non sono stati in grado di comprendere e capire le parole di Falone.

Uccio si vede costretto a rinunciare alla sua storia d’amore e soffre in silenzio la sua mancanza di paternità e probabilmente è stato un cruccio silenzioso anche per il magistrato che non ha mai avuto figli (e forse non ha voluto) per non mettere a rischio la loro vita.

Uccio ha il dono di intuire l’imminenza di attentati nella città proprio come Falcone con il suo naturale intuito di comprendere la mentalità mafiosa e riuscire a conquistare la loro fiducia durante gli interrogatori.

Il cane di Falcone è un piccolo gioiello, scritto con fantasia (i cani, si sa non parlano e tantomeno possono scrivere un libro) e che si arricchisce di un filo narrativo avvincente e coinvolgente perché animato da un profondo amore che Dario Levantino ha per la città di Palermo, per la figura del magistrato Giovanni Falcone e dal profondo desiderio di parlare di una grande piaga che dilaga senza sosta nella società e che ha sempre più bisogno di qualcuno che ne parli per non finire del dimenticatoio.

«Guardavo Palermo da una prospettiva diversa e prendevo coscienza di tutti i limiti dei miei filtri. Dal basso era una città poetica e mostruosa, dall’alto prodigiosa e idilliaca; dal basso era sofisticata e inospitale, dall’alto confortevole e schietta; dal basso era vorticosa e sinuosa; dall’alto lineare e mite.»




Quando tutto è detto di Anne Griffin

Il primo romanzo della scrittrice irlandese edito da Atlantide Edizioni

 

Quando tutto è detto, è il primo romanzo della scrittrice irlandese Anne Griffin edito dalla casa editrice Atlantide Edizioni nel 2020 con la traduzione di Bianca Rita Cataldi.

«Sono qui per ricordare: tutto ciò che sono stato e tutto ciò che non sarò mai più.»

La storia è semplice ma è lo stile della Griffin nel raccontarla a trasformare il romanzo in un testo delicato, magistrale e a tratti poetico tanto che il romanzo ha ottenuto un grandissimo successo in Irlanda ed è in corso di traduzione in 16 lingue straniere.

Maurice Hannigan è un uomo anziano di ottantaquattro anni che inizia a raccontare la propria vita seduto al bancone del bar del Rainsford House Hotel brindando a cinque diverse persone che sono state fondamentali per la sua vita: Tony, Molly, Noreen, Kevin, Sadie

Cinque brindisi, cinque personaggi, cinque bevute diverse tra whisky e birra, per raccontare al proprio unico figlio, Kevin, e a sé stesso i punti salienti, le verità nascoste, le difficoltà ma anche le soddisfazioni ottenute nel corso della sua vita e che fanno di lui l’uomo posato, garbato e possidente sebbene sia nato povero, anzi poverissimo, contadino e analfabeta.

La penna stilistica di Griffin è abilissima nel caratterizzare perfettamente il personaggio di Maurice permeando la trama con la classica cultura irlandese, ricca di figure trascendenti, che superano il confine tra la vita e la morte e regalandoci pagine ricamate tra magia e realtà e trasformando Maurice in un personaggio indimenticabile.

Incantevole il personaggio del fratello più grande, Tony, morto giovanissimo, ma sempre al fianco del protagonista con il suo costante ruolo di figura di riferimento “un uomo che mi ha formato, guidato, che ha badato a me e, soprattutto, che mi ha insegnato a non arrendermi mai.“

Intenso e solido il legame che ha con la moglie, Sadie, un amore verso il quale non ha dimostrato davvero tutto ciò che provava ma che ne riconosce l’intensità quando resta da solo, perché “nessuno conosce davvero la perdita finché non si tratta di qualcuno che ami di quell’amore profondo che ti tiene insieme le ossa e che scava a fondo fin sotto le unghie, difficile da scalfire come anni e anni di terra compatta”.

Superbo il modo in cui si relazione con il figlio Kevin, per amore del quale, impara a leggere attraverso gli articoli che il giovane pubblica dal momento che diventa un giornalista importante oltreoceano e al quale riesce a dichiarare “mi dispiace essere stato il padre che sono stato. So, davvero lo so, che avrei potuto essere migliore. Che avrei potuto ascoltare di più, e accettare te e tutto ciò che sei diventato con più benevolenza.”

A legare tutta la trama di questo bellissimo romanzo c’è il segreto celato dietro una moneta d’oro con l’effige di Edoardo VIII del 1936, un mistero che attraverserà e scombussolerà i destini di due famiglie e farà tenere il fiato sospeso ai lettori.

Quando tutto è detto è arrivato a me attraverso le parole e la commozione dell’editor della casa editrice Atlantide al Salone del Libro di Torino a maggio scorso. Mentre lui me ne parlava aveva uno strano luccichio negli occhi, una voce tremolante e una mimica facciale che lasciava trasparire una profonda e intima gioia contagiosa. Non mi stava proponendo semplicemente un romanzo da leggere, sembrava piuttosto mi pregasse di ascoltare una storia che mi avrebbe riempita e appagata. Ed è stato così per me.

Ed è quella la luce che mi auguro possiate provare lasciandovi coinvolgere nella vita di Maurice in Quando tutto è detto.




La strategia dell’opossum di Roberto Alajmo

La strategia dell’opossum di Roberto Alaimo è stato pubblicato a aprile 2022 dalla casa editrice siciliana Sellerio Editore.

Un mix tra un noir e una commedia, La strategia dell’opossum vede come protagonista Giovanni Di Dio, detto Giovà, guardia giurata di Partanna, borgata di Palermo, eterno figlio cinquantenne pigro e scansafatiche di Antonietta e fratello gemello di Mariella.

 

 

Tutto ha inizio con l’annuncio a sorpresa dell’imminente matrimonio della sorella di Giovà, dopo decenni di fidanzamento a distanza con Toni. Sarebbe tutto nella norma se non fosse che il giorno dello sposalizio lo sposo non si presenta all’altare dando l’avvio ad una esilarante e bizzarra indagine investigativa al fine di scoprire cosa sia accaduto al futuro cognato.

Roberto Alajmo è bravissimo a ironizzare sugli stereotipi siciliani e, laddove il maschio è il capofamiglia indiscusso troviamo una famiglia matriarcale, laddove il maschio è colui che impartisce ordini e trova le soluzioni troviamo una donna capace di parlare a testa alta ai boss della zona mentre il figlio evita anche solo di parlare pur non essere invischiato in discussioni inutili e essere costretto a agire e prendere decisioni.

 

«Non devi fare niente. Niente di niente. Non è difficile, ma ti devi impegnare, figlio mio! Perché ogni cosa che fai, rischi di fare danno. Soprattutto guai a te se scopri qualsiasi cosa.»
«Io non voglio scoprire niente, ma mi pare che sono sempre le cose che mi vengono a scoprire a me.»
«E tu non ti fare trovare.»

 

Ed è la strategia migliore sulla quale si impernia l’intera vita di Giovà che anela a fingersi morto esattamente come fa l’opossum quando si trova braccato dai predatori! Peccato che, nonostante tutte le sue migliori intenzioni, siano proprio gli eventi casuali a costringerlo ad agire allontanando il povero Giovà dal suo amato divano.

Divertente, ironico e con un ritmo inarrestabile, La strategia dell’opossum si rivela una lettura piacevolissima e perfetta per un fine settimana sotto l’ombrellone, ma che riporta in controluce la vita reale di una Sicilia troppo spesso legata a immagini stantie e stereotipate.