The Six Triple Eight, una storia di riscatto femminile

Circa due mesi fa, il 20 dicembre 2024, è uscito su Netflix “The Six Triple Eight”, drama di guerra diretto da Tyler Perry che ha commosso il pubblico, aggiudicandosi persino il bollino dei film “più amati” sulla piattaforma.

Il film ricorda la storia vera e, ahimè, poco nota, del 6888, battaglione composto interamente da donne afroamericane che, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, riuscì a smistare prima del tempo previsto tre anni di posta arretrata e a recapitare milioni di lettere a truppe e famiglie. 

Nel cast, quasi del tutto capitanato da donne, spiccano sicuramente due personaggi: prima di tutto quello di Lena Derriecott. donna forte e coraggiosa che decise di arruolarsi nell’esercito per via di una grande perdita, interpretata dall’attrice Ebony Obsidian e a seguire quello del Maggiore Charity Adams, esempio di educazione ed intelligenza, interpretata da Kerry Washington. 

“The Six Triple Eight” è il film che tutti dovrebbero vedere, è una storia di razzismo e discriminazioni, trascurata per fin troppi anni. È il racconto dell’audacia di numerose donne nere, che si arruolarono con la consapevolezza di poter rischiare la vita ogni giorno e della loro fermezza di fronte alle ingiustizie e ai pregiudizi a cui dovettero far fronte ogni giorno. Il maggiore Adams, in particolare, ci fa commuovere, oltre che per la recitazione sopra le righe della Washington, per come si fa valere in un mondo che non le riconosce alcun merito e per come guida il suo battaglione con tutto l’amore e la comprensione che solo una donna può avere.

È vero, nel film la guerra vera e propria si intravede a malapena, ma è proprio questo che lo rende unico. Viene infatti posto l’accento su un altro aspetto poco conosciuto ma fondamentale: la posta, tanto è vero che sarà proprio una lettera a guidarci attraverso tutto il film, per mostrarci quanto sia importante, sia per le famiglie ricevere notizie dei propri figli, sia per gli stessi soldati avere parole di conforto dai propri cari. 

Un ultimo elemento senza dubbio notevole è poi la canzone finale: The Journey, composta da Diane Warren e cantata da H.E.R., che, con una musica toccante, accompagna le immagini autentiche e le testimonianze di quelle stesse donne al giorno d’oggi. La canzone è stata inoltre candidata agli Oscar per la sezione Miglior canzone originale. 

Insomma, The Six Triple Eight non è il classico film di guerra fatto di violenza, bombardamenti e morte, è invece una storia di amore ed emancipazione, di riscatto femminile in un mondo che non fa altro che discriminare il diverso.  


Virginia Porcelli




Francisco Goya

Francisco de Goya nasce in Spagna nel 1746 e frequenta sin da subito numerosi ambienti artistici, a partire da suo padre che era maestro doratore nelle chiese e successivamente in bottega.

Com’era tipico per ogni artista e letterato europeo, anche Goya parte nel 1770 alla volta dell’Italia, il paese che pochi anni dopo sarà la meta privilegiata per ogni uomo colto.

Al suo ritorno, si trasferisce a Madrid dove comincia la sua carriera da ritrattista e ottiene le prime commissioni per dipinti sacri.

E lì, tra Madrid e Saragozza, vive la sua vita: si sposa, ottiene i primi incarichi importanti, diviene il ritrattista ufficiale

di Carlo IV.

 

A questo periodo appartengono le opere più “classiciste” ed è infatti chiamata “la prima maniera di Goya”.
Ma la situazione in Spagna precipita. E con la guerra non cambia solo la società, ma anche la pittura di Goya.

Nei suoi quadri si sente un movimento diverso, una frenesia e un turbamento molto più profondo di ciò che appare sulla tela.

Tutto diviene più scuro.

E si inaugura, così, il periodo dedicato ai “Disastri della guerra” che comprende incisioni e dipinti.

I suoi dipinti più celebri appartengono a questo periodo, e si fa riferimento ai due dipinti di Maja e al quadro “Il tre maggio 1808”

La Maja vestida e La Maja desnuda

 

Sebbene in Italia e in Francia fossero abbastanza comuni i soggetti nudi, la situazione in Spagna era diversa, forse a causa dell’oppressione esercitata dalla chiesa.

Entrambi i dipinti sono registrati nell’inventario di Godoy; ciò ci fa supporre che la donna rappresentata potrebbe essere la bella Pepita Tudò, giovane amante dello stesso Godoy, oppure la duchessa De Alba.
La donna appare sdraiata su di un letto alla maniera delle tipiche veneri italiane, con la pelle levigata in forte contrasto con la libertà di rappresentazione delle stoffe.

Nel 1815 l’Inquisizione confiscò i due quadri, ma sembra che la bellezza di queste opere d’arte sia sopravvissuta senza conseguenze.

 

 

 

Il tre maggio 1808


Il tre maggio è il giorno in cui la Francia di Napoleone conquista Madrid. Per tutto il giorno, gruppi di soldati francesi passeggiano nella città e fucilano gruppi di patrioti spagnoli.

Goya vuole portare l’attenzione proprio sugli uomini che stanno per morire, circondandoli di luce e lasciando, più indietro, i soldati francesi nell’oscurità, nell’anonimato.
Uno dei corpi già a terra richiama la posizione dell’eroe centrale: braccia aperte, spalancate, quasi un simbolo cristico di sacrificio.

Attorno c’è solo il buio e l’oscurità, che circondano il lieve profilo della città.

 

In vecchiaia, Goya è più prolifero che mai. Racconta ancora gli orrori della guerra e le mostruosità del genere umano (attraverso opere come la celebre “Saturno divora uno dei suo figli”).

Muore nel 1827 di congestione cerebrale all’età di 82 anni, dopo una vita segnata dalla guerra.

 




Il culto di Mitra e il Mitreo di Marino

Il culto di Mitra e il Mitreo di Marino

 

Perché la guerra?
La visita di uno straordinario mitreo ci richiama alla terribile domanda

Mitreo di Marino, Tauroctonia (Mitra uccide il toro). Foto di Marion Weber

La domanda – Perché la guerra? – è un elemento di continuità che lega l’essere umano a se stesso attraverso generazioni, secoli, millenni.
È una domanda antica e moderna.
Sorge continuamente in questi giorni ed è sorta in occasione della recente visita guidata che ho svolto al Mitreo di Marino.

Il Mitreo di Marino, un ritrovamento stupefacente sepolto da 18 secoli
A Marino, comune dei Castelli Romani, è rimasto sepolto per 18 secoli un mitreo, luogo di culto del dio Mitra databile al II sec. d.C.
Venuto alla luce per caso nel 1962, venne usato come cantina per la vendita del vino, fino al suo definitivo riconoscimento, che lo ha poi reso oggetto di una complessa e contorta vicenda lunga quasi 60 anni, prima di venir valorizzato come merita.
Il mitreo ha la caratteristica struttura di un corridoio, la cui parete di fondo è dipinta con il dio Mitra che uccide il toro.
Questa rappresentazione è ricorrente nei mitrei, spesso come scultura, rilievo, mosaico, ma abbiamo solo tre casi al mondo di mitrei dipinti.
E il mitreo dipinto di Marino ha il migliore stato di conservazione: per la brillantezza dei colori e la completezza della composizione costituisce un unicum a livello mondiale.

 

Mitreo di Marino, Dadoforo. Foto di Marion Weber

 

Chi è Mitra?
Mitra è una divinità di origine indo-iranica e persiana legata al Sole. 
Secondo il mito, nasce il 25 dicembre in una grotta, emergendo dalla roccia, simile alla luce che indora le creste dei monti al mattino. E’ perciò detto “petrogenito”.
E’ protagonista di un patto sacro di collaborazione tra l’uomo e il cosmo che richiede la costruzione del bene e l’uccisione delle forze avverse.

E’ un dio antichissimo che cavalca i secoli e, attraverso la conquista di Alessandro Magno, raggiunge la Grecia ellenistica e infine Roma, rigenerandosi con nuove caratteristiche. 

Il culto di Mitra, tra il primo e il quarto sec. d.C. si espande gradualmente su tutto il territorio dell’Impero romano, fino ai più lontani confini. 
Proprio in quegli anni nasce e si espande il Cristianesimo, che assorbe moltissimi caratteri del Mitraismo e alla fine lo soppianterà. Ma di questo argomento complesso e di tanti altri temi connessi parleremo un’altra volta.

Il culto di Mitra è seguito da ogni classe sociale dell’Impero e anche i soldati, lontani dalle loro terre, vi trovano conforto e senso, vi trovano un’identità. Vediamo perché.

 

Mitra si diffonde moltissimo tra le legioni antiche romane
La domanda – Perché la guerra?- serpeggia persino tra le legioni dell’antico Impero romano, soprattutto quelle poste a presidio degli immensi confini dell’Impero stesso. 
Infatti, l’esercito di Roma non è più quello delle origini, il luogo compatto dell’orgoglio romano “d.o.c.”, il cui nucleo era in grado di creare un forte senso di appartenenza e di invincibilità. 
I soldati in grandissima parte non sono più romani, nè italici, ma vengono ormai dalle lontane province, sono di nascita iberica, africana, numidica, gallica, macedone, trace… 
Roma raggiunge con l’imperatore Traiano, nel 117 d.C., la sua massima estensione e per secoli è impegnata principalmente a difendere i suoi sterminati confini.  
Le sue legioni sono dislocate in luoghi davvero lontani e i soldati si sentono sempre più soli e sempre meno motivati, hanno bisogno di qualcosa che li tenga uniti e coesi.

Queste esigenze, particolarmente tra I e IV sec. d.C., si coagulano intorno all’antichissimo culto di Mitra.

Il culto di Mitra
Si tratta di un culto iniziatico (vi si entra per gradi), misterico (si trasmette da bocca a orecchio, in modo segreto e senza testi scritti di riferimento), riservato ai soli uomini.
Mitra porta la luce nel mondo e stringe un patto sacro di amicizia con il Sole e con gli uomini per la vittoria del bene sul male, attraverso un combattimento che porta alla pace finale.
Mitra uccide il Toro cosmico, simbolo della natura animale e della forza incoercibile di Madre Natura, per irrorare la terra col suo sangue e renderla feconda.
Il Toro cosmico abbattuto rappresenta la vittoria delle forze del Bene contro le forze ostili che ostacolano l’ascesa dell’uomo alla dimensione divina.
Mitra è il dio del patto sacro tra l’ordine cosmico degli astri e l’ordine interiore dell’uomo, cui è richiesto di essere retto e di operare per il bene.
Il seguace, attraverso sette gradi d’iniziazione, trova la strada per imitare Mitra e per partecipare all’ordine cosmico nel rispetto del patto sacro.
Miles, cioè soldato, è il terzo grado iniziatico nel percorso dell’adepto. Ecco un elemento di forte identità per i legionari romani…
Il culto si svolge nel mitreo, luogo di culto sotterraneo in forma di grotta, illuminato da fiaccole.

I mitrei
I mitrei sono ambienti sotterranei dove si pratica il culto, riproducendo la grotta dove sarebbe nato Mitra. Sono numerosissimi in tutto il territorio imperiale: se ne trovano in Italia, Francia, Austria, Germania, Inghilterra, Asia, Africa e moltissimi altri luoghi.
Solo a Ostia ne sono stati rinvenuti ben 18. A Roma se ne ipotizzano fino a 2000, anche se ne sono stati ritrovati 7.
Ogni mitreo è frequentato da un piccolo gruppo di adepti con a capo un pater, che è colui che ha raggiunto il settimo grado del percorso iniziatico.
Molti imperatori in questo periodo sono fedeli a Mitra e incoraggiano moltissimo l’espandersi del culto tra i legionari, poiché colgono l’importanza di tale forza spirituale per la coesione dei loro soldati.

 

La recente visita al Mitreo di Marino. Foto di Marion Weber

Ma, ieri come oggi, alla domanda – Come stai, soldato? Come ti senti dentro? –, si continua a rispondere con
un’altra domanda: -Perché la guerra?-

E no, non c’è risposta, non ci può essere.

(N.B.: Prossima visita sabato 23 aprile ore 16,30, prenotazione obbligatoria al 3488464099)




Aguas de março (Acqua di marzo)

Marzo: per gli antichi romani era il mese dedicato al dio Marte

 

I venti di guerra che spirano in questi giorni, si incontrano con questo mese di marzo, mese che per gli antichi romani era dedicato al dio Marte.
Romolo, fondatore di Roma e figlio dell’incontro del dio stesso con la vestale Rea Silvia, secondo il mito, volle onorare il padre dando il suo nome al primo mese dell’anno cosiddetto romuleo.

 

 

Marte, il greco Ares, Mars in latino, era il dio della guerra, del risveglio guerriero, sotto il segno maschile dell’aggressione, atto imprescindibile in una visione bellica delle relazioni umane, dettato dalla profonda convinzione che se tu non attacchi, sarai attaccato.

Le antiche popolazioni latine e poi Roma facevano risuonare attraverso i loro territori il ritmo e la danza dei Salii, sacerdoti appartenenti a un collegium sacro a Marte il cui nome trae la sua etimologia da “saltus, salire” che significa danzare. E percuotendo gli scudi sacri (ancilia), i Salii davano inizio alla processione di marzo, danzando a piccoli salti, destando un entusiasmo bellico nel popolo e dando così inizio alla stagione della guerra.

 

foto romanoimpero.com

 

Queste antiche percussioni belliche sono memorie che profondamente segnano ancor oggi corpi e coscienze, le quali seguono imperterrite il richiamo di una natura belligerante e fatalmente perdente su tutti i fronti. Ma, abbassando il volume fino a farlo tacere, vorrei adesso opporre e far crescere dentro di noi un altro ascolto, una dolcissima bossa nova, una splendida canzone, per me irresistibile.

Aguas de março è considerata una delle più belle canzoni brasiliane, sia per la musica che per il testo, che rappresenta una metafora della vita. L’autore è Tom Jobim, che la scrisse nel 1972. Occorre tener presente che marzo, per il Brasile è un mese di piogge tropicali che introducono l’autunno. Sono piogge anche brevi, ma decisamente torrenziali, causa di grossi allagamenti.
Si dice che Tom Jobim, ritirato ancora a fine estate nella casa di campagna per motivi di salute, si trovò ad abbozzare il testo di questa canzone su un sacchetto del pane, preso dalla dolce malinconia e dall’intimità che sa provocare l’acqua che cade, il suo ritmo dolente, il suo suono amico e nostalgico.
Così Tom provò a riprodurre la magia di quel suono universale, che lega tutti noi a una memoria ancestrale e che è in grado di suscitare una comunione cosmica tra tutti gli esseri viventi.
Youtube e lì per voi, se volete entrare nell’ascolto del formidabile duetto che Jobim registrò con Elis Regina, che nel panorama brasiliano è stata veramente regina negli anni ’60 e ’70, dotata di una voce e di una capacità interpretativa indimenticabili.

 

foto openspotify.   com

 

Purtroppo a soli 36 anni Elis morì avendo assunto una potente dose di cocaina mista a barbiturici. Ma noi ritroviamo la sua vitalità e la sua soavità in questa magistrale interpretazione insieme a Jobin, con il quale ha saputo ricreare il tintinnio delle gocce di pioggia, talora pesanti, talora delicate, apparentemente interminabili.

Il testo è affascinante, dicevamo una metafora della vita: tutto fluisce e compare e scompare attraverso piccole immagini spezzettate, fonte di piccole, grandi emozioni. La pioggia di marzo fluttua così come una promessa di vita, come un gioco tenero in cui gesti, avvenimenti, personaggi fantastici fluiscono come in un racconto. Come nella favola bella con la quale ci si addormentava da bambini mentre fuori pioveva.

 

Bello questo suono. Ecco il testo e la traduzione di questa meravigliosa canzone.

 

É pau, é pedra, é o fim do caminho
É um resto de toco, é um pouco sozinho
É um caco de vidro, é a vida, é o sol
É a noite, é a morte, é um laço, é o anzol
É peroba no campo, é o nó da madeira
Caingá candeia, é o matita-pereira
É legno, é pietra, é la fine della strada
É un resto di tronco, é (qualcuno) un po’ solo
É un pezzo di vetro, é la vita, é il sole
É la notte, é la morte, é un laccio, é l’amo
É un albero (1) in un campo, é il nodo del legno,
Caingá candela, é il Matita-Pereira (2)(3)
É madeira de vento, tombo da ribanceira
É o mistério profundo, é o queira ou não queira
É o vento ventando, é o fim da ladeira
É a viga, é o vão, festa da cumeeira
É a chuva chovendo, é conversa ribeira
Das águas de março, é o fim da canseira
É flauto, tuffo dalla sponda del fiume
É il profondo mistero, è il volere o non volere
É il vento che soffia, è la fine della discesa,
É la trave, il vuoto, la festa del tetto (4)
É la pioggia che cade, l’incontro con il ruscello (5)
Delle piogge di marzo, é la fine della fatica
É o pé, é o chão, é a marcha estradeira
Passarinho na mão, pedra de atiradeira
É uma ave no céu, é uma ave no chão
É um regato, é uma fonte, é um pedaço de pão
É o fundo do poço, é o fim do caminho
No rosto um desgosto, é um pouco sozinho
É il piede, é il suolo, è la marcia forzata,
Uccellino nella mano, sasso lanciato con la fionda
E’ un uccello in cielo, è un uccello a terra,
E’ un ruscello, è una fonte, è un pezzo di pane
E’ il fondo del pozzo, é la fine della strada,
Sul viso il disgusto, é (qualcuno) un po’ solo
É um estepe, é um prego, é uma conta, é um conto
É um pingo pingando, é uma conta, é um ponto
É um peixe, é um gesto, é uma prata brilhando
É a luz da manha, é o tijolo chegando
É a lenha, é o dia, é o fim da picada
É a garrafa de cana, o estilhaço na estrada
É o projeto da casa, é o corpo na cama
É o carro enguiçado, é a lama, é a lama
É um passo, é uma ponte, é um sapo, é uma rã
É um resto de mato na luz da manhã
São as águas de março fechando o verão
É a promessa de vida no teu coração
É una spina, é un chiodo, è una punta, é un punto,
É una goccia che cade, è un conto, è un racconto
É un pesce é un gesto, è argento che brilla
É la luce del mattino, é il mattone che arriva
É un falò, é il giorno, é il punto finale,
É una bottiglia di liquore (6), una fenditura nella strada (7)
É il progetto della casa, é il corpo nel letto,
É la macchina bloccata, é il fango, é il fango
É un passo, é un ponte, è un rospo, é una rana,
É un po’ di erbacce nella luce del mattino (8)
Sono le piogge di marzo che chiudono l’estate, (9)
É la promessa di vita nel tuo cuore
É uma cobra, é um pau, é João, é José
É um espinho na mão, é um corte no pé
São as águas de março fechando o verão
É a promessa de vida no teu coração
É un serpente (10), é un bastone, é João, é José,
É un taglio nella mano, é una ferita nel piede
Sono le piogge di marzo che chiudono l’estate,
É la promessa di vita nel tuo cuore
É pau, é pedra, é o fim do caminho
É um resto de toco, é um pouco sozinho
É um passo, é uma ponte, é um sapo, é uma rã
É legno, é pietra, é la fine della strada
É un resto di tronco, é (qualcuno) un po’ solo
É un passo, é un ponte, è un rospo, é una rana,
É um belo horizonte, é uma febre terçã
São as águas de março fechando o verão
É a promessa de vida no teu coração
É pau, é pedra, é o fim do caminho
É um resto de toco, é um pouco sozinho
É pau, é pedra, é o fim do caminho
É um resto de toco, é um pouco sozinho
É un bell’orizzonte, é una febbre terzana
Sono le piogge di marzo che chiudono l’estate,
É la promessa di vita nel tuo cuore
É legno, é pietra, é la fine della strada
É un resto di tronco, é (qualcuno) un po’ solo
É legno, é pietra, é la fine della strada
É un resto di tronco, é (qualcuno) un po’ solo