LUPA NERA di Juan Gómez-Jurado

LUPA NERA

Di Juan Gómez-Jurado

Fazi Editore

 

 

Tra i numerosi titoli letti in questa calda estate 2022, mi sono concessa un libro da ombrellone. Un thriller scritto facile, ma non per questo meno emozionante; pagine da divorare in riva al mare, senza che la radio dell’ambulante o gli schiamazzi dei bambini siano riusciti a distrarmi.

Questo perché Lupa Nera, il secondo della trilogia di Juan Gómez-Jurado, cattura dalle prime righe e non lascia il lettore fino alla fine, incalzandolo con un ritmo serrato e colpi di scena che si susseguono implacabili.

La scorsa estate avevo qui riportato le mie impressioni sul primo volume, Regina Rossa, e oggi vi restituisco quella che è la protagonista assoluta di una vicenda mozzafiato: Antonia Scott.

 

 

L’empatia per la disgrazia altrui ha un limite.

Oltrepassato il quale cominci a sentire che la sua sventura è un atto malvagio, la cui vittima sei tu. Non dice neanche questo.

Può darsi che Antonia Scott sia l’essere umano più intelligente del pianeta.

Ma questo non le dà la saggezza per sapere cosa fare né la forza per affrontarlo.

 

 

Juan Gómez-Jurado in Lupa Nera ha avuto la capacità e la bravura di creare un’accoppiata vincente affiancando ad Antonia, una donna dalle capacità speciali e uniche, Jon Gutierrez un gigante buono le cui inclinazioni omosessuali ne fanno un reietto del corpo di polizia cui appartiene da tanti anni.

Abbiamo quindi due persone che sono destinate alla solitudine proprio perché diverse, due che si incontrano e loro malgrado si legano di un affetto come pochi.

Lupa Nera ci regala anche momenti di tenerezza e ironia, piccoli petali di bravura sparsi qua e là per farci riprendere fiato durante la corsa.

Impossibile per il lettore non essere impressionato da Antonia Scott, alternando momenti in cui si ha quasi paura di questo fenomeno ai limiti del soprannaturale, a momenti in cui la si vorrebbe stringere tra le braccia per rassicurarla e difenderla da sé stessa e da chi le vuole male.

 

Una persona come Antonia, che vive segregata nella prigione del proprio cervello, percepisce con molta più chiarezza degli altri esseri umani una verità inappellabile.

Che i limiti del tuo linguaggio sono i limiti del tuo mondo.

Pur senza esprimerlo in questi termini, qualsiasi fanatico della lettura lo capisce in modo intuitivo, e per questo non legge mai abbastanza.

 

 

SINOSSI

 

Nel secondo della trilogia di Juan Gómez-Jurado, Antonia Scott e Jon Gutierrez sono ancora alla ricerca di Sandra Fajardo quando Mentor li convoca per un altro caso al momento più pressante. Si tratta della scomparsa di Lola Moreno moglie di Yuri Voronin, tesoriere di un clan mafioso che opera nella zona di Malaga.

Per Antonia Scott restare viva non è mai stato così difficile.

 




La figlia femmina di Anna Giurickovic Dato

La figlia femmina è il sorprendente esordio letterario della scrittrice catanese Anna Giurickovic Dato pubblicato dalla Fazi Editore nel 2017 e tradotto in cinque paesi tra cui Francia, Germania e Spagna ottenendo un successo di critica e di pubblico.

È la storia di Maria, la figlia e dei suoi genitori, Silvia e Giorgio con un segreto inconfessabile che scivola tra le loro vite segnandole in modo indelebile.

Paragonato ad una versione moderna di Lolita di Nabokov, la trama assume un sfumatura più sottile vista la scelta di dare la voce a Silvia, la madre. È lei che racconta, o forse è meglio dire che sussurra, la storia quasi fosse accaduta da un’altra parte, quasi non facesse parte di lei, quasi non la toccasse.

 

 

La trama del romanzo ha due piani temporali, una parte si svolge in Marocco a Rabat dove Giorgio è un diplomatico e la seconda parte a Roma dopo che un ulteriore evento drammatico sconvolge la vita della famiglia.

L’autrice, fin dalle prime pagine, rivela al lettore il rapporto incestuoso tra la piccola Maria e Giorgio ma è con l’evolversi della trama che riesce, con maestria e delicatezza, a evidenziare i drammi psicologici di tutti e tre i personaggi dando loro, di volta in volta, sia il ruolo della vittima che del carnefice.

«Dio almeno mi crede»
«Tutti ti crediamo»
«Tu non mi crederesti mai»
«A cosa non dovrei credere, Maria?»
«Che io sono il diavolo»
«Tu sei un angioletto, sei una bimba»
«Non è vero. Io il diavolo ce l’ho qua. […] Ma non lo so chi ce l’ha messo, ci sono nata così»

La figlia femmina è un libro duro, spietato, un vero pugno nello stomaco e l’abilità di Anna Giurickovic Dato è nell’essere riuscita a caratterizzare e scandagliare ciascun personaggio tenendo il lettore avvinghiato alla trama.

Giorgio è il cattivo? Forse, eppure parla con amore alla moglie «Sei la parte più importante della mia vita. Se qualche volta sono freddo o sono sgarbato è perché sento che mi sei indispensabile e questo mi fa paura. Provo a tenerti lontana, ma più ti allontano più mi sei vicina e il tuo grande amore per me è un laccio che non si slega»

Silvia è la cattiva? Forse è nella solitudine che si materializza il suo errore sebbene nella successiva consapevolezza si intravede uno spiraglio di salvezza «Vorrei poter dare la colpa a qualcuno, essere giovane e bella, aver tutto da imparare e non aver sbagliato ancora nulla»

La figlia femmina non lascia indifferenti per la capacità di trattare argomenti difficili che spesso si nascondono come tabù, per il ritmo narrativo non privo di grandi colpi di scena, per i dialoghi equilibrati e le ambientazioni perfette.

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Per chi volesse leggere anche altro di Anna Giurickovic Dato, nel 2020, sempre per la Fazi Editore, è stato pubblicato Il grande me.




Il cane di Falcone di Dario Levantino

Un’amicizia speciale tra un cane randagio e il magistrato palermitano

 

Il cane di Falcone di Dario Levantino è il quarto romanzo dello scrittore palermitano edito dalla Fazi Editore, con la prefazione di Maria Falcone, uscito in tutte le librerie nell’aprile del 2022 e già in ristampa.

Il romanzo è la storia di un’amicizia speciale tra un cane randagio e il magistrato palermitano e la trama prende spunto da un reale fatto di cronaca: la morte del cane randagio Uccio.
Non si sa da dove venisse ma, un giorno il cane arrivò e decise che la sua nuova dimora sarebbe stato il tappeto erboso ai piedi della statua di bronzo di Falcone e Borsellino eretta in loro onore, nel cortile del Palazzo di Giustizia di Palermo.

Questa notizia colpì la mente di Dario Levantino soprattutto perché, con il suo quotidiano contatto con gli studenti nel liceo di Monza dove insegna lettere, era nata in lui l’esigenza di spiegare la mafia in modo semplice e più facile. Nasce, quindi, come un testo per ragazzi ma, in realtà, Il cane di Falcone è un libro che oltrepassa l’età per arrivare al cuore del lettore.

 

 

Una caratteristica singolare e determinante del romanzo è quella della voce narrante visto che è proprio il cane Uccio a raccontare in prima persona la sua vita e il suo incontro con Giovanni Falcone e questo insolito punto di vista permette di scandagliare e mettere in risalto i tormenti, la solitudine e la bontà dei protagonisti.

Il cane di Falcone si completa con una struttura narrativa specchiata dove l’amico a quattro zampe e il magistrato si ritrovano a vivere le stesse solitudini e a soffrire per gli stessi stati d’animo.

Uccio risponde al magistrato ogni volta che Falcone gli pone delle domande, ma è inutile perché l‘uomo non è in grado di capire, di ascoltare, esattamente come diversi figure a livello politico e giudiziario non sono stati in grado di comprendere e capire le parole di Falone.

Uccio si vede costretto a rinunciare alla sua storia d’amore e soffre in silenzio la sua mancanza di paternità e probabilmente è stato un cruccio silenzioso anche per il magistrato che non ha mai avuto figli (e forse non ha voluto) per non mettere a rischio la loro vita.

Uccio ha il dono di intuire l’imminenza di attentati nella città proprio come Falcone con il suo naturale intuito di comprendere la mentalità mafiosa e riuscire a conquistare la loro fiducia durante gli interrogatori.

Il cane di Falcone è un piccolo gioiello, scritto con fantasia (i cani, si sa non parlano e tantomeno possono scrivere un libro) e che si arricchisce di un filo narrativo avvincente e coinvolgente perché animato da un profondo amore che Dario Levantino ha per la città di Palermo, per la figura del magistrato Giovanni Falcone e dal profondo desiderio di parlare di una grande piaga che dilaga senza sosta nella società e che ha sempre più bisogno di qualcuno che ne parli per non finire del dimenticatoio.

«Guardavo Palermo da una prospettiva diversa e prendevo coscienza di tutti i limiti dei miei filtri. Dal basso era una città poetica e mostruosa, dall’alto prodigiosa e idilliaca; dal basso era sofisticata e inospitale, dall’alto confortevole e schietta; dal basso era vorticosa e sinuosa; dall’alto lineare e mite.»




TORNARE A CASA

TORNARE A CASA

di Dorte Hansen

Fazi Editore

 

Girovagando curiosa in libreria, dopo molta indecisione ho optato per quest’opera di Dorte Hansen spinta dalla copertina e dal consiglio di una cara amica che ne aveva sentito parlare.

Il titolo mi riporta alla mente due romanzi: “Io resto qui” di Marco Balzano e “La strada di casa” di Kent Haruf. In effetti nel momento in cui l’ho preso in mano sono stata titubante, pensavo che avrei letto una storia troppo simile, quasi una ripetizione. Niente di più sbagliato. La Hansen, Balzano e Haruf parlano di ritorni è vero, ma in tre modi e con tre stili così diversi che sembra di leggere altre storie.

 

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.

 

Dentro di me ho classificato questo libro come il romanzo dei colori. Abbiamo il verde degli alberi e del bosco, quello opaco tendente al giallino dei campi mietuti, il verde delle erbe aromatiche e delle insalate negli orti. Poi abbiamo il marrone dei tronchi, delle panche, delle tavole del pub dove mangiano, dei pagliericci dove dormono. C’è il bianco della neve: un bianco  freddo come freddi sono i caratteri degli abitanti di questo paese. Un bianco che poi diventa grigio, un grigio chiaro, spento, il grigio della vecchiaia.

Uno stile quello della Hansen asciutto ma pieno di dettagli, semplice senza inutili fronzoli, intenso senza stancare. Uno il sentimento che serpeggia tra le righe, dall’inizio alla fine: la nostalgia.

I personaggi sembrano essere quasi senza sentimenti, descritti in un modo così asciutto e realistico, che mi ricordano molto le figure dei quadri di Teofilo Patini.

 

Sembrava essere fatto della stessa sostanza di quelle terre. Un uomo morenico, sospinto e scalfito, segnato nell’anima dall’azione di antichi ghiacciai, del vento e della pioggia.

 

 

SINOSSI

 

Ingwer prende un anno sabbatico, lascia l’università e i suoi due conviventi di lunga data per tornare a Brinkebull, e accudire i suoi nonni, Sonke e Ella. Ingwer è il figlio di Marret, una ragazza diversa, viene definita come un po’ toccatella, vive in un mondo tutto suo fatto di canzoni, disegni, incisioni, passeggiate nei campi, raccolta di fossili e animali morti, incursioni nelle case dei vicini. Ingwer era fuggito dal paese e dai suoi abitanti come se fosse scappato dalla prigione. Cercava altro, voleva riempire un vuoto, avere tutto quello che gli era stato sempre negato. Ma è davvero questa la felicità? La nostalgia, l’insoddisfazione e i ricordi di Ingwer sono più forti di tutto il resto, e lui torna.