Canto di Natale di Charles Dickens

Un classico della letteratura inglese

Canto di Natale è un romanzo breve scritto nel 1843 da Charles Dickens ed è la storia natalizia per eccellenza. Una favola per tutte le età da leggere in poche ore e magari proprio ad alta voce.

Il protagonista è il vecchio e tirchio Scrooge che la notte della vigilia riceve la visita del defunto socio Marley per metterlo in guardia sulle conseguenze dei suoi comportamenti. Per fargli comprendere cosa sta perdendo, gli annuncia la visita di tre spiriti, il Natale passato, il Natale presente e il Natale futuro.

Sarà un viaggio attraverso la povertà, la miseria e l’analfabetismo ma anche verso la bontà e la caparbietà del genere umano che riesce, nonostante tutto, a volersi bene e stringersi attorno a quel poco che si ha mettendo al centro la famiglia e l’amore.
Un viaggio che metterà Scrooge di fronte al vero significato della vita ribaltando il senso dell’avere a beneficio del valore di essere.

Canto di Natale esalta la magia del Natale. Sia che si voglia credere a Babbo Natale oppure no, sia che lo si viva in modo religioso o prettamente consumistico, in fondo nella memoria di tutti noi esiste quell’atmosfera fantastica racchiusa nelle lucine colorate che addobbano la casa, nella trepidazione di aprire un regalo, nella gioia di rivedere persone che non si vedono da tempo, di stare seduti tutti insieme attorno ad un tavolo per il solo piacere di godere della compagnia degli altri.

Il Natale, comunque lo si viva, resta una magia difficile da cancellare e se quest’anno la terribile pandemia del Covid-19 ce lo fa vivere distanti dagli affetti e per molti di noi, anche soli a casa, nulla potrà toglierci quella sensazione di vivere un giorno unico e indimenticabile dove tutti ci sentiamo davvero più buoni e più bravi.

Buon Natale a tutti voi!




LA CAMERA AZZURRA

LA CAMERA AZZURRA

di Georges Simenon

Ed. Adelphi

 

Ho sempre associato Georges Simenon all’ispettore Maigret e ai gialli; poichè il genere non è tra i miei preferiti ho relegato questo illustre scrittore ai ricordi di scuola. Da un po’ di tempo però il titolo di questo breve romanzo ha iniziato a rincorrermi: proposte di gruppi di lettura e recensioni sui social. Poi ho letto quelle poche righe di Mario Fortunato sull’ultima copertina e mi sono decisa.

 

“Ti ho fatto male?”

“No”.

“Ce l’hai con me?”

“No”.

Era vero. In quel momento tutto era vero, perché viveva ogni cosa così come veniva, senza chiedersi niente, senza cercare di capire, senza neppure sospettare che un giorno ci sarebbe stato qualcosa da capire. E non solo tutto era vero, ma era anche reale: lui, la camera, Andrée ancora distesa sul letto sfatto…”

 

 

L’incipit è secondo me fenomenale, lo si legge e arriva una irrefrenabile voglia di andare avanti, senza fermarsi, fino all’ultima pagina. Ci si aspetta un romanzo d’amore, erotico, dove Simenon abbia dimenticato se non rinnegato il suo alter ego Maigret. Troviamo invece una storia crudele che si snoda in un’atmosfera provinciale, dove questo aggettivo viene inteso nel senso dispregiativo del termine. Grazie ad una scrittura fluida quasi non ci accorgiamo delle meschinità e delle bassezze dei personaggi che ruotano intorno ai due protagonisti.

L’immagine della passione che visualizziamo nella camera azzurra, sfoca quasi subito. Il grigiore della quotidianità e della sala interrogatorio diventa preponderante.

Il protagonista che inizialmente si presenta come un uomo forte e virile, si rimpicciolisce poco a poco; Simenon è magistrale quando ci fa credere che lei, Andrée, l’amante, sia quasi sparita e invece è presente sempre, anche se non la vediamo.

L’evoluzione verso la tragedia è inesorabile e ci prende con un nodo allo stomaco; increduli voliamo in poco tempo verso il finale. Non si ha la forza di appoggiare il libro per poi riprenderlo più tardi.

 

 

Questa volta lui fu incapace di girare la testa dall’altra parte, tanto il suo volto l’affascinava. Mai, neppure nei momenti in cui i loro corpi erano stati più uniti, l’aveva trovata così bella, così raggiante.

Mai aveva visto sulla sua bocca carnosa un sorriso che esprimesse così intensamente il trionfo dell’amore.

Mai, con un solo sguardo, si era impossessata di lui in modo così totale.

“Lo vedi, Tony,” gli gridò “non ci hanno separati!”

 

 SINOSSI

 

Tony e Andrée sono una coppia di amanti, all’apparenza come tante. Si incontrano di giovedì in una camera d’albergo: una camera azzurra. Sembra che nessuno sappia, ma non è così; sembra una storia d’amore e di passione che sfocerà nella felicità, ma non è così. Il protagonista è sotto interrogatorio, dalle sue risposte e dai suoi ricordi si dipana quello che in realtà è un thriller dal finale imprevedibile. Intorno ai due amanti sfrenati abbiamo personaggi incolori: Nicolas, il marito malato di Andrée, Gisèle la brava moglie di Tony, Marianne la figlioletta, Vincent il fratello complice di Tony e un nugolo di avvocati e inquirenti le cui domande ci porteranno piano piano, a capire.

 




CECITÀ

CECITÀ

di José Saramago

ed. Feltrinelli

 

 

“Può darsi che l’umanità riesca a vivere senza occhi, ma allora non sarà più umanità…”

 

Josè Saramago pubblica Cecità nel 1995, solo tre anni prima di ricevere il Nobel per la letteratura. Il titolo originale dell’opera era Saggio sulla cecità, ma in Italia venne variato in quello che conosciamo perché pensavano che l’originale potesse scoraggiare i lettori.

Nell’anno del Covid leggere di una pandemia potrebbe far pensare che vogliamo aggiungere, con la lettura, ulteriori ansie rispetto quelle che già abbiamo, almeno questo è quello che credevo io. Sono stata “obbligata” a cimentarmi in questa impresa da un gruppo di lettura che ora non finirò mai di ringraziare, perché Cecità mi ha letteralmente folgorato.

 

“Il mondo è pieno di ciechi vivi”

 

Un romanzo distopico, una storia feroce e un ritmo che incalza fino alla fine. Con i suoi dialoghi inseriti senza l’utilizzo della classica punteggiatura, Saramago interiorizza e cattura pagina dopo pagina. Uno stile, il suo, che all’inizio disorienta, ci sembra di non capire, ci costringe a rileggere. Poi, poco a poco veniamo catturati dalle lunghe frasi che, senza nomi propri, senza punti e con tante virgole, cercano di indicare la giusta direzione al lettore “cieco” che non sa di esserlo.

La disperazione che permea tutta la storia però non ci fa mollare la presa anzi, andiamo avanti, bramosi di sapere cosa riserva il destino all’umanità. La speranza e l’attaccamento alla vita non abbandonano mai il medico e sua moglie, il primo cieco, la donna dagli occhiali scuri, il vecchio con la benda sull’occhio e il ragazzino strabico in una città anch’essa senza nome.

Un romanzo che è anche un elogio alla forza della donna: una donna è protagonista e sostegno, da sola sarà la  guida verso la luce.

Quello che alla fine rimane è un senso di gratitudine, troppo spesso sottovalutiamo l’importanza di ciò che abbiamo. Troppo spesso non pensiamo che da un momento all’altro potremmo essere privati di tutto, in primis della libertà.

 

“Le donne risorgono le une dalle altre, le oneste risorgono dalle puttane, le puttane risorgono dalle oneste, disse la ragazza dagli occhiali scuri.Seguì un lungo silenzio, per le donne era ormai tutto detto, gli uomini avrebbero dovuto cercare le parole, e sapevano in anticipo che non sarebbero stati capaci di trovarle.”

 

 

SINOSSI

 

In città senza si diffonde repentina una strana epidemia dove uomini e donne perdono la vista. Il governo per cercare di tenere sotto controllo l’aumento esponenziale dei contagi decide di internare i ciechi, ma la situazione degenera. Solo una donna, la moglie del medico sembra immune. Negli edifici dove vengono rinchiusi, i ciechi si organizzano diverse forme di società e i  malvagi inizieranno a controllare la distribuzione del cibo per ricattare i più deboli.

A causa di un incendio un gruppo sparuto di ciechi guidati dalla donna riesce a fuggire, ma all’esterno la situazione non è migliore: la lotta per la sopravvivenza semina violenza e orrore per le strade.

 




UOMINI E TOPI

UOMINI E TOPI

di John Steinback

Ed. Bompiani

 

“I topi come noi non hanno una famiglia, mettono insieme un gruzzoletto e poi lo sperperano. Non hanno nessuno al mondo a cui importa un fico secco di loro…ma noi no, perché io ho te e tu hai me.”

 

John Steinback è uno dei massimi esponenti della letteratura americana e mondiale, vincitore del Premio Pulitzer con Furore nel 1940 e del Premio Nobel per la letteratura nel 1962.

Dopo poche righe tratte da Uomini e topi, e quelle dedicate alla sua biografia, potrei anche terminare qui la mia recensione. Questo dovrebbe essere più che sufficiente per prendere in mano subito questo romanzo breve ed immergersi dentro.

Desidero comunque dedicare ancora spazio ad una storia narrata quasi esclusivamente con dialoghi, a due protagonisti che creano una coppia improbabile e originale che ci parla di amicizia e speranza.

Basandosi su un fatto realmente accaduto, Steinback con uno stile colloquiale e diretto, scrive la difficile vita di George, Lennie e pochi altri disperati, per denunciare e mettere in mostra un lato dell’America che il pubblico non conosceva, o che forse faceva finta di non conoscere.

Pochi gli attori: un gruppo di migranti, il padrone della fattoria e la sua bella moglie. Poche le descrizioni e la narrazione ridotta al minimo indispensabile, in questo romanzo “si parla”.

George e Lennie vanno sempre in giro in coppia, sono diversi dagli altri migranti che per lo più vagano solitari e abbrutiti.  George è il trait d’union di tutto il romanzo e il protettore di Lennie, un omone grande e grosso con la mente di un bambino, vittima della propria possenza. Un sogno li accomuna e li sprona ad andare avanti, a non arrendersi, a lottare per riscattarsi da una vita di fatica, e Candy , il vecchio storpio addetto alle pulizie, renderà questo sogno quasi realizzabile, quasi…

 

Tornò a sedersi. Stavano tutti zitti, incantati dalla bellezza della cosa, ogni mente lanciata nel futuro, quando quella cosa stupenda si sarebbe avverata.

 

Si può dire di un romanzo, bevuto? Non so, ma per me è stato così.

 

 

SINOSSI

 

La storia, basata su un fatto realmente accaduto nel 1920,  di un’amicizia profonda tra due uomini, due braccianti stagionali in California che condividono un sogno.

George Milton si occupa da sempre con ferma dolcezza di Lennie Small, un gigante con il cuore e la mente di un bambino rimasto solo al mondo dopo la morte della zia Clara.

Il loro progetto è di mettere da parte un bel gruzzolo lavorando nei ranch per trovare e acquistare un piccolo posto tutto per loro, un po’ di terra da coltivare, conigli da allevare, frutta da raccogliere.

Ma le loro speranze sono destinate a sbriciolarsi in un’America gretta e gelosa, soffocata dalla crisi.