Il maestro delle luci e delle ombre: Caravaggio

Chi è che, in vita sua, non ha mai sentito parlare di Caravaggio?

Michelangelo Merisi da Caravaggio (detto, appunto, il Caravaggio) è sicuramente uno degli artisti più famosi di tutti i tempi.
Uomo dalla vita tormentata e oscura, Caravaggio nasce a Milano nel 1571 ed entra all’età di 13 anni nella bottega di Simone Peterzano, dove compie il suo apprendistato da pittore.

Di quel periodo, tuttavia, non si sa nulla.

 

Periodo romano

Nel 1594 si trasferisce a Roma. Molti pensano che abbia abbandonato Milano così presto poiché colpevole di omicidio, ma le storie attorno alla sua vita sono numerosissime ed è difficile distinguere la realtà dalla leggenda.

Le opere del periodo romano sono caratterizzate da toni più chiari, giallastri, come ad esempio la “Buona Ventura” e “Bacchino malato”.
E’ possibile vedere molte sue opere qui a Roma, gratuitamente, come nella Cappella Cerasi a Santa Maria del Popolo nella chiesa di San Luigi dei Francesi.

La Buona Ventura è un’opera dipinta probabilmente nel periodo in cui Caravaggio frequentava la bottega del Cavalier d’Arpino a Roma.
Il quadro rappresenta una zingara che, mentre legge la mano ad un giovane, gli ruba l’anello dal dito.


E’ una scena di vita quotidiana: una graziosa zingarella, con il pretesto di leggere la mano a un ingenuo giovane di buona famiglia, catturando la sua attenzione col suo sguardo malizioso, gli sfila abilmente un anello dal dito. Qualcosa che si può vedere ogni giorno al centro di Roma!

La tradizione vuole che Caravaggio avesse scelto per modella una vera zingara che vide passare davanti al suo studio e come ci dice il Bellori, la condusse in studio per ritrarla così, al momento.
L’indagine radiografica del 1985 ha messo in luce un dettaglio che oggi, nonostante i restauri, non è più ben visibile, ovvero le dita della zingara che sfilano l’anello all’ingenuo giovane ben vestito.

 

I numerosi viaggi

Nel 1606, però, durante una rissa, Caravaggio uccise Rinuccio Tommasoni.
Condannato alla pena di morte, Caravaggio cercò di fuggire, spostandosi prima a Napoli, poi a Malta e in Sicilia, per tornare infine di nuovo a Napoli, in una costante ricerca di protezione.

Le opere di questo periodo – della maturità – sono permeate dalla paura della morte, come la “Decollazione di San Giovanni Battista” ma soprattutto il bellissimo “Davide con la testa di Golia”.

 

Nel volto di Golia è rappresentato tutto il tormento e la paura che Caravaggio visse in quel periodo: è, infatti, il suo autoritratto.
Le due figure emergono dalle ombre, in questa tecnica che sarà poi caratteristica di Caravaggio.
Sono figure corrose dalla luce, che lottano per venire a galla dall’oblio che le circonda.

Come le statue di Michelangelo che venivano fuori dal marmo, così anche le figure di Caravaggio.

Nel disperato tentativo di tornare a Roma e chiedere aiuto al papa, Caravaggio intraprese un viaggio, il suo ultimo.
Morì infatti nel 1610 a soli 38 anni, senza sapere che il papa aveva inviato una settimana prima un messaggero con il condono papale per assolverlo dai suoi crimini.




Pop art

Anche se comunemente riteniamo che la pop art sia nata nel contesto delle immagini pubblicitarie dell’America degli anni ’60, bisogna ricredersi.

L’Independent group

Infatti, il termine “pop art” nasce nel decennio precedente a Londra, proprio presso l’Institute of Contemporary Art (ICA).

Subito dopo la conferenza “Bunk” – dove parteciparono Eduardo Paolozzi, Laurence Alloway e Richard Hamilton – un gruppo di persone decisero di fondare l’Independent Group.

All’interno di questo gruppo convogliano tre anime: la prima, quella formata da artisti e fotografi, come Paolozzi e Hamilton;
la seconda formata da critici d’arte e teorici, come Alloway;

la terza composta da architetti e designer come Stirling.

L’idea era quella di creare una nuova forma d’arte che mutuasse i suoi temi dall’arte popolare, l’arte di massa, senza entrare però in contraddizione con essa.
Bisognava creare una nuova spazialità!

Questa necessità di trattare i temi della cultura di massa arrivò anche in America sorsero i più grandi artisti dell’arte pop, come Andy Warhol.

Ma andiamo per ordine.

Rosenquist

Tra i primi a trattare dei temi pubblicitari e dei simboli per eccellenza dell’america ci fu Rosenquist.
Ancora legato alla pittura, Rosenquist creava in piccolo formato i suoi quadri nei quali sovrapponeva le celebri immagini della tv – una Ford, J.F.Kennedy, dei Mac&Cheese – e poi li riportava su grande scala.

Rosenquist prelevava i suoi soggetti direttamente dal mondo della pubblicità americana, ma come vedremo, non è l’unico referente per gli artisti pop degli anni ’60.

Liechtenstein

Infatti, Liechtenstein preleva i suoi soggetti dal mondo del fumetto!
L’artista è molto famoso per riproporre eroine dei fumetti in tutte le salse: ridenti, spaventate e anche in lacrime. Tra i vari fumetti da lui trattati c’è anche Braccio di Ferro!

Tuttavia, la particolarità di Liechtenstein è questa: egli interrompe la fascia narrativa tipica del fumetto, isolando un singolo riquadro che non racconta nulla.

 

Warhol

 

Ma adesso arriviamo a colui che è considerato il più grande artista dell’arte pop: Andy Warhol.

Warhol è un personaggio complicato in cui affluiscono numerosi interessi e passioni.
Anche lui, come Liechtenstein si approccia al fumetto – come in Dick Tracy – e anche lui, come Rosenquist si rifà ai grandi divi della tv americana come le celebri Marilyn Monroe e Liz Taylor.

Ma quando lo fa c’è sempre un’indagine, dietro, non è mai pura illustrazione.

Infatti, i primi dipinti di Marilyn Monroe vennero creati all’indomani della tragica morte della diva, nonostante ella fosse diventata un’icona in vita. Warhol si inizia ad interessare alla sua figura solo in seguito alla sua morte; così succederà anche per Liz Taylor che egli dipinge dopo aver appreso la notizia di una grave malattia che ha colpito l’attrice.

Quindi, parte della produzione di Warhol ruota attorno a questo tema della morte, questa presenza ingombrante che aleggia in ogni sua opera, fino a diventare una vera e propria ossessione.

Per “oggettivare” la sua arte Warhol inizia ad utilizzare la stampa piuttosto che la pittura.
Inizia così a riprodurre pagine di giornale che raccontano di disastri, come ad esempio “129 morti su un jet”, oppure “Ambulance disaster” oppure anche “Suicide”. E così via, in un loop inquietante di morte e terrore.

 

Fino al 1968, anno in cui una signora fece irruzione nel suo studio e gli sparò.
Warhol combatté tra la vita e la morte, ma infine si salvò.

Ed in una sorta di esorcizzazione della paura della morte, questo tema tanto ingombrante e tanto pesante sparì dalla sua produzione artistica.




Kurt Schwitters: l’artista dei collage

Kurt Schwitters è stato un artista tedesco che ha vissuto nella prima metà del XX secolo.

È stato un membro del movimento dadaista in Germania e la sua opera è stata influenzata da molti stili artistici diversi, tra cui l’espressionismo astratto, il cubismo e il futurismo.
La sua vita e le sue opere sono state caratterizzate da una continua sperimentazione e ricerca di nuove forme artistiche.

 

 

La vita

Kurt Schwitters nasce nel 1887 a Hanover, in Germania, dove ha iniziato la sua carriera artistica durante la Prima guerra mondiale.

Si unirà al movimento dadaista tedesco negli anni ’20.
Il Dadaismo è stato un movimento culturale – nato in Svizzera, precisamente nel Cabaret Voltaire, durante la Prima guerra mondiale -e ha avuto l’obiettivo di criticare la società e la cultura borghese attraverso l’arte.

L’arte dadaista nasce dall’influenza cubo-futurista che in quegli anni si andava diffondendo in tutta Europa e che si basava su una visione frammentaria della città.

La metropoli moderna, nella sua bellezza e contraddizione, non poteva essere concepita come unitaria ed omogenea (come lo era Roma, città eterna, di stabilità e fissità) ma era percepita in modo discontinuo.

A partire dal cubismo, questo carattere della città fu tradotto in “importazioni” della città urbana: nei quadri di Braque e Picasso iniziano a comparire scritte urbane, etichette di bottiglie e marche di oggetti commerciali (come il brodo KUB).

Durante la Seconda guerra mondiale, Schwitters fu costretto a fuggire dalla Germania e visse gli ultimi anni della sua vita in Inghilterra, dove morì nel 1948.

Le opere

 

Schwitters è stato un innovatore nel campo del collage, usando materiali di scarto come carta, cartone, giornali e mozziconi di sigaretta per creare le sue opere. Questi oggetti, prelevati direttamente dalla strada, trasmettono quella concezione di cui parlavamo prima: rispecchiano l’esperienza frammentaria della città.

La sua opera più importante, la Merzbau, era un’installazione ambientale in continua evoluzione che ha costruito nella sua casa a Hanover.Questa opera ha dato forma alla sua filosofia artistica, che si concentrava sull’uso di materiali di scarto e sulla continua evoluzione delle sue opere.

In conclusione, Kurt Schwitters è stato un artista e poeta di grande importanza che ha avuto un impatto significativo sulla cultura del collage e sulla filosofia dadaista.

La sua vita e le sue opere hanno dimostrato la sua dedizione alla sperimentazione e alla ricerca di nuove forme artistiche e la sua influenza è stata sentita per molti anni dopo la sua morte.




La Salomè

La figura di Salomè

Forse molti di voi hanno sentito parlare della figura di Salomè.
Ebbene, Salomè è un famosissimo personaggio biblico, la bellissima figlia di Erodiade, principessa giudaica tanto affascinante quanto terrificante ed anche una delle prime danzatrici (parleremo più avanti della sua danza dei sette veli).

La figura di Salomè ha da sempre ispirato numerose opere d’arte, dal Cinquecento fino nel Novecento – basti pensare alla formella “Banchetto di Erode” di Donatello o al celeberrimo “Salomè o Giuditta” di Gustav Klimt – ma anche di opere teatrali.

Oggi andremo a vedere, infatti, la Salomè di Richard Strauss, composta nel 1905.

Strauss basa il suo dramma sull’omonimo in francese di Oscar Wilde, tradotto in tedesco da Lachmann e riadattato dunque da Strauss per la sua opera.

Già a partire dal 1900, anno della pubblicazione dell’Interpretazione dei sogni di Freud, si era sviluppato un grande interesse per la psicologia dei personaggi, famosi e non, che erano talvolta passati alla storia come “negativi”.

È il caso di Salomè.

 

La Salomè di Strauss

 

La storia di Salomè, nell’opera di Strauss, comincia con l’arrivo di Jochanaan (Giovanni Battista) nella prigione del palazzo di Erode, tetrarca di Gerusalemme.

Nella sala accanto alla cisterna dov’è prigioniero il profeta è in corso un banchetto dal quale Salomè scappa, incuriosita dalla litania continua che sente provenire dalla stanza accanto.

A guardia del prigioniero vi è Narraboth, capitano dei soldati, il quale inizialmente cerca di desistere dalla pressante richiesta di Salomè di liberare Jochanaan per farglielo conoscere.
Narraboth, tuttavia, innamorato di Salomè e ammaliato dal suo fascino, si lascia convincere.

Jochanaan viene liberato e comincia a condannare i peccati di Erode e di sua moglie, Erodiade, madre di Salomè.
La ragazza, invece, guarda affascinata il profeta dai lunghi capelli e dalle belle labbra ed immediatamente se ne innamora.

Cerca di sedurlo, di avvicinarsi, ma Jochanaan è irremovibile: la respinge.

Intanto, in disparte, Narraboth assiste a questo atto di seduzione da parte della sua amata, e non potendo più sopportare tale visione, si uccide in silenzio.

Salomè neanche se ne accorge, tant’è presa dal desiderio di baciare Jochanaan, che tuttavia la allontana ferocemente. Egli la maledice e ritorna nella cisterna, sprezzante.

Erode, Erodiade ed il loro seguito, nel frattempo, cercano Salomè.
Una volta trovata Erode offre alla giovane vino, frutta ed un posto al suo fianco, sotto lo sguardo furente della madre, ma lei rifiuta.

Solo quando le offre in cambio qualunque cosa lei desideri, Salomè accetta di danzare.

La principessa esegue questa danza perturbante, movimentata, selvaggia: i suoi veli cadono uno ad uno mentre lei volteggia estatica di fronte ad Erode.

 

Il Finale

 

Alla fine della danza Erode le chiede quale sia la ricompensa da lei voluta e Salomè, orgogliosa, risponde: la testa di Jochanaan su un piatto d’argento.

Inorridito, Erode cerca di farle cambiare idea, ma invano, ed infine le offre la testa del Battista.
Salomè, al colmo della gioia, canta, afferra la testa del profeta e bacia, finalmente, la sua bocca.

Erode, dopo tanto orrore, ordina ai soldati di uccidere la figliastra.

Si conclude così una delle storie più perturbanti, che sin dall’antichità ha il potere di destare stupore, curiosità ma anche orrore e repulsione.




Il Gigante Sepolto di Ishiguro

L’Autore, Kazuo Ishiguro

Kazuo Ishiguro è uno scrittore inglese di origine giapponese, noto per la sua scrittura evocativa e per la sua capacità di esplorare temi come la memoria, la nostalgia e l’identità attraverso una prospettiva unica e originale.

Tra le sue opere più famose ci sono “Il giardino alla fine del mondo”, “Il gigante sepolto”, “Klara e il Sole”.

Kazuo Ishiguro è un premio Nobel per la letteratura. Nel 2017, l’Accademia Svedese ha assegnato il premio a Ishiguro “per aver evocato l’elusività del passato e l’incertezza del futuro in romanzi di una profondità emozionale unica”.

La premiazione di Ishiguro è stata accolta con entusiasmo dalla critica e dal pubblico, che hanno celebrato il suo contributo alla letteratura mondiale e la sua abilità nell’esplorare temi universali attraverso una prospettiva unica e originale.

Il Gigante sepolto

Il Gigante sepolto  è un romanzo scritto da Kazuo Ishiguro, pubblicato nel 2020 dalla casa editrice Einaudi.

Il libro racconta l’avventura di due vecchi coniugi, Axl e Beatrice, i quali partono alla ricerca del figlio perduto, in un mondo in cui i loro ricordi e sono sfocati e la memoria, non solo la loro, ma quella di tutta la popolazione, sembra essere inghiottita nell’oblio.

In una surreale ambientazione nelle campagne inglesi del IX secolo, in un’ideale mondo in cui magia, fantasia e storia si uniscono, la coppia anziana incontra numerosi personaggi, sassoni o britanni, che li aiuteranno a ricordare il proprio passato e a capire il futuro che li attende.

Il romanzo esplora il tema della memoria e della nostalgia attraverso la narrazione di Axl e Beatrice, che ricordano il loro passato e si interrogano sul loro futuro.

Ishiguro utilizza un linguaggio semplice e preciso per creare un’atmosfera di sogno e di mistero, e per esplorare temi come l’amore, la fede e la speranza.

Il Gigante Sepolto è stato molto acclamato dalla critica e ha vinto il premio Booker nel 2017. è stato descritto come un’opera “affascinante e commovente” che esplora temi universali attraverso una prospettiva unica e originale.

Mi sento di consigliare questo libro a tutti i fan dell’atmosfera fantasy ma anche dei romanzi storici: i due generi si uniscono in questo romanzo creando qualcosa di unico, a volte tetro, ma profondo e delicato.




Giotto, artista medioevale.


Giotto di Bondone è stato un pittore e architetto italiano vissuto tra il 1267 e il 1337.
È considerato uno dei più grandi artisti dell’epoca medievale e uno dei precursori del Rinascimento.

La sua arte ha influenzato molti artisti successivi e ha stabilito nuovi standard per la rappresentazione della figura umana e della natura.

Tra le sue opere più famose ci sono le affreschi nella Basilica di San Francesco ad Assisi e la Cappella degli Scrovegni a Padova.

Inoltre è conosciuto per le decorazioni della Basilica di Santa Croce a Firenze e per le sue opere a Bologna e Napoli.

Giotto è stato uno dei primi artisti a rompere con la tradizione bizantina dominante nell’arte italiana del XIII secolo, creando opere più realistiche e naturalistiche.

Ha introdotto un nuovo modo di rappresentare la figura umana, dando maggiore importanza all’espressione e al movimento, e ha creato scene più plausibili, in cui i personaggi sembravano essere parte di un ambiente reale.

Inoltre, Giotto ha lavorato come architetto e scultore, progettando e costruendo diverse chiese e palazzi, tra cui la Basilica di Santa Croce a Firenze ed il cosiddetto Campanile di Giotto.

La sua influenza sull’arte italiana e sull’arte europea in generale è stata enorme, e molti artisti successivi hanno cercato di imitare o emulare il suo stile.

 

La Cappella degli Scrovegni a Padova

 

Le sue opere più famose sono gli affreschi nella Cappella degli Scrovegni a Padova, in cui ha dipinto una serie di scene della vita di Cristo e della Vergine.

Questi affreschi sono considerati tra i capolavori della pittura medievale e sono stati descritti come “il primo grande passo verso la pittura moderna” per la loro naturalezza e realismo.

La Cappella degli Scrovegni è una cappella privata situata nella città di Padova, in Italia. Fu costruita all’inizio del XIV secolo per Enrico Scrovegni, un ricco banchiere e commerciante, e fu decorata con un ciclo di affreschi realizzati da Giotto tra il 1303 e il 1305.

Il ciclo di affreschi della Cappella degli Scrovegni è considerato uno dei capolavori di Giotto e uno dei massimi esempi di pittura del periodo medievale.

Il ciclo è composto da 38 scene che raccontano la vita di Cristo, la vita della Vergine e la vita dei santi, insieme a una serie di raffigurazioni allegoriche e simboliche.

E’ stato dipinto utilizzando la tecnica ad affresco, in cui i pigmenti sciolti in acqua vengono applicati su una base di intonaco fresco, che permette di utilizzare colori puri e intensi e di creare una sensazione di profondità e tridimensionalità.

Giotto utilizzò una prospettiva nuova, molto più naturale e realistica rispetto a quella tradizionale, e una grande attenzione ai dettagli, alle espressioni e ai movimenti dei personaggi.

La Cappella degli Scrovegni è aperta al pubblico e attualmente è protetta da un sistema di climatizzazione e di illuminazione artificiale per preservare gli affreschi. E’ stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 2002.

San Francesco ad Assisi

Gli affreschi di San Francesco ad Assisi sono una serie di dipinti murali realizzati da Giotto tra il 1297 e il 1300 nella Basilica Superiore di San Francesco d’Assisi.

Questi affreschi rappresentano scene della vita di San Francesco d’Assisi e sono considerati tra le opere più importanti del Medioevo.

 

Le scene dipinte da Giotto nella Basilica Superiore di San Francesco d’Assisi sono divise in quattro serie: la Vita di San Francesco, la Vita di Cristo, la Vita della Vergine e la Vita dei Santi.

La serie della Vita di San Francesco comprende 22 scene che descrivono la vita del santo, dal suo battesimo fino alla sua morte.

Giotto ha rappresentato San Francesco come un uomo, con espressioni emotive e movimenti naturali, creando una forte relazione tra il personaggio e lo spettatore.

Gli affreschi di Giotto ad Assisi sono stati una fonte di ispirazione per molti artisti successivi, tra cui il famoso pittore e scultore italiano Donatello.
Anche questi affreschi sono stati dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 2000.




L’Antigone di Sofocle

Sofocle, drammaturgo greco del V secolo a.C. di cui abbiamo già parlato in precedenza, trattando approfonditamente il suo capolavoro Edipo Re, è autore di altre numerose opere di grande successo.

Oggi parleremo insieme dell’Antigone, la quale fa parte insieme all’Edipo re e l’Edipo a Colono del Ciclo tebano, incentrato sulle vicende di Edipo e della sua dinastia.

A differenza dell’Edipo Re la cui data di composizione è sconosciuta, dell’Antigone si conosce la data della prima rappresentazione: il 442 a.C., ad Atene, durante le Grandi Dionisie.

Antigone è figlia di Edipo e Giocasta, sorella di Eteocle, Polinice ed Ismene.
Quest’opera si pone in diretta continuità con l’Edipo Re; inizia perciò con la sua fine.

Edipo, cacciato da Tebe dopo aver scoperto di esser stato l’assassino di suo padre e di aver sposato la sua stessa madre, si cieca gli occhi e si esilia dalla città di cui è stato re.

I suoi quattro figli, dunque, avrebbero dovuto succedere il padre alla reggenza della città.

Tuttavia, Eteocle, il primo a ricoprire la carica di re, abusa del suo potere bandendo dalla città il fratello Polinice.
Quest’ultimo decide, perciò, di fare guerra al fratello.

Questo tema – la guerra tra Polinice e Eteocle – è il fulcro di un’altra famosissima tragedia, I Sette contro Tebe di Eschilo.

La guerra, però, non finisce bene per nessuno dei due fratelli: Eteocle e Polinice si uccidono a vicenda.
Qui interviene lo zio Creonte, il quale decide che solo Eteocle può esser seppellito, poiché Polinice è divenuto un traditore della patria muovendo guerra al fratello.

Ed è in questo momento che entra in scena Antigone: personaggio dalla forte morale, emancipata dal contesto sociale, rigida e salda nei suoi ideali.
Antigone è emblema della giustizia personale rispetto alle leggi arcaiche; è l’eroina per eccellenza, portatrice di un sentimento morale molto moderno.

Infatti, Antigone confida alla sorella Ismene di voler seppellire il fratello Polinice e si assume tutta la responsabilità della sua decisione.
Ismene, al contrario, così rispettosa della legge, si rifiuta e cerca di dissuadere Antigone.

Scopriamo però, nella scena successiva, che Creonte scopre la sepoltura del corpo di Polinice e manda qualcuno a sorvegliare la sua tomba per scoprire chi è stato ad opporsi alla legge.

Antigone viene scoperta e portata al cospetto di Creonte. Quest’ultimo, adirato, la condanna a morte. Ma Antigone è ferma sul suo punto: il rito funebre va concesso a tutti gli uomini per volere delle divinità e nessuno può opporsi al loro volere.

L’atto finale è la tragicità pura: per non macchiarsi della colpa di uccidere un familiare, Creonte decide di condannare Antigone ad essere rinchiusa in una grotta dove resterà finché non troverà la morte.

Ma, senza saperlo, Creonte si è già macchiato di un crimine contro gli dèi: il rifiuto del funerale di Polinice.
L’indovino Tiresia gli ricorda questo, e così Creonte decide di andare alla grotta per salvare Antigone.

Tuttavia, giunto alla grotta, scopre cos’è accaduto.
Suo figlio, Emone, innamorato di Antigone, è andato alla grotta per salvarla, ma trovandola impiccata è impazzito di follia, giungendo a uccidersi a sua volta alla vista del padre, fautore di tutto ciò, trafiggendosi con una spada.

Dopo aver saputo di tutti questi avvenimenti, anche Euridice, moglie di Creonte e madre di Emone, decide di darsi la morte.

L’opera si conclude con Creonte, il quale resosi conto dei peccati e dei crimini commessi, invoca gli dei di dargli la morte.




Il David di Donatello

Prima del celeberrimo David di Michelangelo, esisteva un David altrettanto importante ma passato alla storia come un’ombra del primo.

Il David di Donatello è una scultura bronzea del 1440 ca. (in un arco temporale che va dal 1427 al 1460), simbolo ed emblema del Quattrocento italiano.

Il David è la prima scultura a tutto tondo di un nudo dai tempi delle sculture classiche romane.

 

 

Storia espositiva

Donatello realizza quest’opera per il cortile di Palazzo Medici a Firenze su commissione di Cosimo de’ Medici, ed infatti è testimoniata al centro del cortile già dal 1469, durante le nozze di Lorenzo de’ Medici con Clarice Orsini.

Il David però doveva apparire un po’ differente da come è oggi: infatti le fonti (tra cui Vasari) attestano una base marmorea, perduta, di Desiderio da Settignano.

Durante la cacciata dei Medici, l’opera fu rubata dalla folla e portata a palazzo Vecchio come simbolo della libertà repubblicana, ma con il ritorno di Cosimo I il David fu collocata in una nicchia esterna nella facciata del palazzo.

Successivamente il David viaggia ancora un po’ per Firenze: prima, venne spostato su un camino di una sala di Palazzo Pitti; poi, nel 1777 fu trasportato agli Uffizi, dove fu collocato da Luigi Lanzi nella sala delle sculture moderne.

Infine, il suo viaggio di conclude con l’approdo al Museo nazionale del Bargello, dove si trova tutt’oggi.

 

Descrizione

Ma cosa rappresenta questa famosissima statua?

La storia di Davide e Golia è una delle più famose della Bibbia: il pastorello Davide, armato di una fionda, uccide il gigante Golia, soldato dei Filistei in guerra contro il popolo di Israele.

La statua rappresenta il momento il cui l’eroe, Davide, con tutti gli attributi che lo descrivono (la testa di Golia ai piedi e la spada) trionfa sul nemico sconfitto.

C’è però un elemento anomalo: Davide porta sulla testa un copricapo insolito, un cappello a punta con una ghirlanda di alloro, mentre i piedi sono foderati da lunghi calzari. Questi elementi, ad un primo impatto, lo fanno sembrare un Mercurio alato.

A differenza delle statue classiche romane – pur rispettato la statuaria di Prassitele – il corpo risulta molto più armonioso e naturalistico. In più, non esiste un solo punto di vista adatto all’osservazione: questa è una scultura progettata a tutto tondo, bisogna dunque ruotarci attorno per avere una visione d’insieme e cogliere ogni dettaglio.

 

Il restauro

Un recente restauro del 2007 ha messo in luce delle tracce di doratura superstiti in alcuni punti della statua.
Così, al termine del restauro si è deciso di eseguire una copia che ne mostra il possibile aspetto originario e di esporla temporaneamente accanto all’originale.




“Notte Oscura”: la nuova mostra alla Fondazione Memmo

La Fondazione Memmo (via Fontanella Borghese 56b) ospita l’ottava edizione di Conversation Piece, il ciclo di mostre a cura di Marcello Smarrelli dedicato agli artisti stranieri e italiani che intrattengono un rapporto speciale con la città di Roma.

La mostra, intitolata “Notte Oscura”, verrà inaugurata il 12 dicembre, e partire dal 13 dicembre 2022 fino al 26 marzo 2023 sarà visitabile ogni giorno (martedì chiuso) dalle 11.00 alle 18.00. Ingresso libero.

Gli artisti in mostra quest’anno sono Pauline Curnier Jardin, Victor Man e Miltos Manetas.

 

 




Arnolfo di Cambio

Sulla vita di Arnolfo di Cambio si hanno poche notizie, come d’ogni altro uomo medievale, d’altronde.

Sembra esser stato figlio di Messer Cambio, un notaio di Colle di Val d’Elsa, in provincia di Siena.

Arnolfo cominciò la sua formazione d’artista nella bottega di Nicola Pisano, già artista famosissimo e uno dei massimi esponenti della scultura gotica in Europa. Con lui lavorò all’Arca di San Domenico nell’omonima chiesa a Bologna e al pulpito del Duomo di Siena.

Poi, successivamente, Arnolfo lascia la bottega e intraprende la sua carriera di artista in autonomia, trasferendosi a Roma sotto Carlo I d’Angiò. Esegue per il re un ritratto, forse il primo ritratto realistico di un personaggio ancora in vita, e la sistemazione della Fontana Minore di Perugia.

Nel 1282 realizza il monumento funebre del cardinale De Braye nella chiesa di San Domenico a Orvieto e inaugura, attraverso questa nuova tipologia di sepolcro, un modello che sarà attivo per tutto il Rinascimento.

 

A Roma, Arnolfo lavora ai cibori della basilica di San Paolo fuori le mura e di Santa Cecilia in Trastevere, veri capolavori in cui si mescolano le tradizioni delle opere classiche romane e la maestria della lavorazione a intarsi dei marmi degli artisti cosmateschi.

Un’altra importantissima commissione romana fu quella per la statua bronza di San Pietro, che realizzò nel 1300 per la Basilica di San Pietro, assieme al monumento per Bonifacio VIII.

Inoltre, Arnolfo fu probabilmente il primo scultore a realizzare un Presepe. Nel 1291 egli realizzò otto statue che rappresentano la Vergine con il Bambino, Giuseppe, il bue e l’asinello insieme ai Re Magi.

Rimangono oggi alcune sculture superstiti che presentano una caratteristica peculiare dell’opera di Arnolfo: il retro delle sculture è lasciato nel suo stato grezzo. Questo perché Arnolfo di Cambio progettava le sue sculture in modo che lo spettatore potesse godere frontalmente dell’opera, ma ciò che era nascosto al suo occhio poteva tranquillamente essere tralasciato!

Quest’operazione necessita grande maestria, poiché alcune architetture si sviluppavano in orizzontale ed era importante calcolare bene l’angolazione del punto di vista dello spettatore per non lasciare parti grezze in vista.

Per concludere, con Arnolfo di Cambio si sviluppa un concetto di artista che gode di un’autonomia e di un riconoscimento sociale che nel primo medioevo non esisteva. Difatti, dal tardoantico, gli artisti erano considerati artigiani e non spiccava mai il nome dell’autore di un’opera.

Arnolfo di Cambio è, perciò, assieme al suo maestro Nicola Pisano e poi a venire di tantissimi altri artisti come anche lo stesso Giotto e Jacopo Torriti, uno dei primi a firmare le proprie sculture, a creare il concetto di “autorialità” dell’opera d’arte… insomma, uno dei primi artisti veri e propri.

 




Le mamme di Pomezia contro la violenza sulle donne

L’associazione Le Mamme di Pomezia ha organizzato per la giornata del 25 novembre 2022 un flash mob in Piazza Indipendenza, che si svolgerà alle ore 16.30.

In occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, tutti i partecipanti – invitati ad indossare un accessorio o un abito rosso – lasceranno volare dei palloncini rossi in memoria di tutte le vittime di violenza.

 

 

 

“Secondo il dossier del Viminale sono 96 le vittime donne negli ultimi 12 mesi, di queste, 84 in ambito familiare affettivo e 49 per mano del partner o ex partner.
Sono diminuite le denunce di stalking ma aumentati gli ammonimenti contro i persecutori.
Si rende necessario fare informazione, sensibilizzare ed essere coesi, tutta la società è chiamata in campo essere parte attiva verso queste donne che vivono nel privato violenze e soprusi che devono riguardare noi tutti.
Dietro questi omicidi etichettati come femminicidio si nasconde la componente di genere: l’UCCISIONE DI UNA DONNA IN QUANTO DONNA.”

 

“E’ “violenza contro le donne” ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà.
Così recita l’art. 1 della dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne.”




Giorgio De Chirico: nascita della Metafisica

Giorgio de Chirico, nato in Grecia nel 1888 e morto a Roma nel 1978, è il co-fondatore ed uno dei maggior esponenti della corrente artistica conosciuta come “Metafisica”.

Cosa vuol dire questo termine? Metafisica nasce con Aristotele nel IV secolo a.C. e significa “oltre la fisica” ovvero oltre le cose visibili.

Nel panorama italiano del primo Novecento spiccano per importanza due correnti artistiche: la prima è quella del Futurismo, fondata da Filippo Tommaso Marinetti nel 1909 e la seconda è la Metafisica fondata nel 1917 da Giorgio de Chirico e Carlo Carrà a Ferrara.

Lo scopo della Metafisica è quello di rappresentare l’essenza della realtà, ciò che va oltre l’esperienza sensibile dell’apparenza.

Metafisico è, inoltre, tutto ciò che è estraneo alla logica circostanziale in cui siamo abituati a vederlo. Per questo i quadri metafisici sono ricchi di elementi accostati tra di loro senza un’apparente logica, in ambienti del tutto generici e privi di vita umana.

Insieme a Giorgio de Chirico, gli altri esponenti della Metafisica sono suo fratello Andrea, ma meglio conosciuto come Alberto Savinio, Carlo Carrà e Giorgio Morandi.

In realtà risalgono al 1909 i primi esperimenti di Giorgio de Chirico in materia di metafisica; proprio lo stesso anno del Manifesto del Futurismo. Eppure, la Metafisica, è una concezione diametralmente opposta a quella Futurismo: dove là c’è dinamismo e velocità, la Metafisica contrappone staticità e

solidità; dove c’è caos e vitalità, lì c’è silenzio e vuoto.

Dunque, mentre il Futurismo parla il linguaggio dell’innovazione e della modernità, la Metafisica cerca di recuperare la tradizione pittorica della prospettiva, colorando il tutto di una triste nostalgia per il passato.

I quadri Metafisici, seppur nella loro concezione filosofica possono apparire tortuosi, sono di una semplicità disarmante.

Se ci troviamo di fronte ad un quadro, come per esempio Piazza d’Italia del 1913 di De Chirico, il nostro occhio a primo impatto non percepisce niente di strano.
Ci appare come una delle tante piazze italiane a noi note.

Ma poi piano piano iniziamo a renderci conto di vari elementi che vanno in contrasto con la nostra percezione comune di una piazza: in primo luogo le luci e le tinte.
Da un cielo verde nasce una luce irreale che allunga, deformandole, tutte le ombre; e così anche la prospettiva, così apparentemente rigida, è del tutto deformata, tanto da rendere lo spazio irreale.

E così, nel ciclo dechirichiano di Piazze di Italia – una serie iniziata nel 1910 – sono presenti tutti gli elementi ideologici e strutturali di cui abbiamo parlato fino ad adesso: il senso di solitudine, l’atmosfera irreale, la prospettiva esacerbata, le ombre lunghe, i portici e le statue classiche.

Il linguaggio artistico della Metafisica ha influenzato l’arte nata sotto il Fascismo, conosciuta come il “Ritorno all’ordine” per il suo caratteristico recupero della tradizione. Così, i portici con i numerosissimi archi a tutto sesto ordinati danno vita ad un monumento moderno come il Palazzo della Civiltà Italiana di Roma.

Ultimo, ma non meno importante, è il tema dei manichini.
I quadri di De Chirico sono ricchissimi di queste presenze antropomorfe ma immobili, statiche, senza vita.

E’ il caso di “Le Muse Inquietanti”, opera del 1917.
Ritroviamo tutti gli elementi sopracitati come la solitudine, le ombre lunghe e la prospettiva mentre sullo sfondo troneggia il castello estense di Ferrara.

Ma, nonostante il quadro sia abitato da numerose figure, queste non trasmettono alcun senso di vitalità.
Sono manichini deformati, con teste terribilmente piccole o terribilmente grandi, posizionate in modo casuale nello spazio di questa grande piazza fluttuante nel nulla.