IL TROLLEY di Silvia De Felice

IL TROLLEY

di Silvia De Felice

tratto dalla raccolta Tortellini

a cura di Daniele Falcioni

Ed. Rapsodia

 

Francesca quel giorno proprio non riusciva a trattenersi dal sorridere, eppure era consapevole che sarebbe stata una serata lunga e faticosa. Tutto intorno a lei esultava: il mestolo sporco di sugo, la presina macchiata appoggiata sul lavandino, la scopa nell’angolo della cucina. Mentre spadellava guardava le zucchine, anche quelle sembravano ballare insieme ad aglio, olio e peperoncino. Era sicura che non sarebbe stato facile, che i toni si sarebbero alzati, e che forse qualche piatto sarebbe volato durante la cena con Antonio, ma non era preoccupata più di tanto, Francesca si sentiva forte e felice.

Era ormai tutto pronto, aveva preparato i piatti preferiti di suo marito, che sarebbe ritornato a breve dal lavoro, affamato come sempre ma totalmente all’oscuro di ciò che lo attendeva. La casa era in ordine, il frigo pieno, le lenzuola del letto matrimoniale fresche di bucato, fiori freschi nel vaso in corridoio; Francesca si guardava intorno soddisfatta. “Ho fatto proprio un bel lavoro” disse tra sé e sé, mentre il suo trolley da viaggio, nascosto dietro la porta, le faceva l’occhiolino. Oggi sembrava che tutti gli oggetti facessero comunella intorno a lei.

Il tintinnio delle chiavi alla porta la fece sobbalzare. Antonio era rientrato, iniziavano le danze.

“Mmmmm, che buon profumo” esordì suo marito, “una bella cena è proprio quello che mi ci voleva dopo una giornata di merda”. Dopo aver lanciato il soprabito sul divano, si diresse in bagno.

“Ciao” rispose Francesca mentre lui già non la sentiva più, “tra dieci minuti la cena è in tavola” aggiunse mentre scrosciava l’acqua della doccia.

“Devo decidermi a guardarmi intorno, l’aria dello studio è diventata davvero irrespirabile”. Queste furono le prime parole che le rivolse suo marito dopo essersi seduto e aver iniziato a mangiare. Parlava e neanche la guardava, Francesca sembrava invisibile per lui. “D’altronde sono ancora giovane, ho un curriculum di tutto rispetto e le riaperture dopo l’estate mi favoriranno” continuò lui.

“Sono contenta che la cena ti sia piaciuta, anche perché questa era l’ultima che ti preparo. Ho deciso di andarmene, ma ti ho lasciato il frigo pieno e la casa pulita” disse Francesca con tranquillità.

“Pensa che oggi quella stronza di Roberta ha avuto da ridire sul progetto che ho presentato in riunione, proprio lei che di fondamenta e pilastri non capisce un cazzo!”

Antonio non l’aveva ascoltata, anzi non l’aveva proprio sentita.

“Ho anche messo dei piatti pronti nel surgelatore e pulito tutta la casa, così avrai qualche giorno di autonomia finché non troverai una persona che possa aiutarti con le pulizie e i pasti” continuò lei, poi si alzò per cambiare i piatti.

“Quella crede che possedere qualche quota in più della società le dia il diritto di spadroneggiare con chi si sobbarca della maggior parte del lavoro. Se ne accorgerà, la deficiente, quando me ne andrò”.

“Non mi hai sentita neanche questa volta?” si azzardò a chiedere lei.

“Sono mesi che lavoro come un pazzo per rispettare i termini e le scadenze concordate con i clienti, per evitare allo studio di dover pagare delle penali, per far fare bella figura a quel manico di scopa travestito da donna in carriera! E lei che fa? Cerca la magagna per screditarmi davanti agli altri e risultare la più competente. Sai cosa penso, Francesca?”

Lei non rispose, ma lui continuò lo stesso.

“Penso proprio che quella volta che mi si buttò addosso, anziché fare la parte del marito fedele, me la dovevo scopare! Ecco che penso!”

“Sì, hai ragione” disse Francesca, e aggiunse: “Così avremmo deciso prima e con più facilità di non portare avanti questo nostro pseudomatrimonio”.

Chissà se ora l’aveva sentita.

“Lo capisco che potrò sembrarti brutale, cara, ma forse se non l’avessi rifiutata mi sarei evitato di ritrovarmi i bastoni tra le ruote per tutti questi mesi”.

Francesca si alzò di nuovo, tolse piatti e posate e li sostituì con quelli per il dolce; aveva preparato anche il dessert: un’ultima cena perfetta. Davanti ad un tripudio di pasta sfoglia, crema pasticcera e fragole, Antonio sembrò riscuotersi dal suo monologo.

“Scusami, tesoro, stasera ho parlato solo io, com’è andata la tua giornata?”

“Molto bene, direi, anche se un po’ faticosa”.

“Immagino: spesa, cucina e gli altri tuoi numerosi impegni domestici ti avranno stancata. Non avrai avuto neanche il tempo per scambiare due chiacchiere con quella pettegola del banco al mercato”.

Le fece un sorriso benevolo, accarezzandole la mano in modo comprensivo, e concluse dicendo: “Povero, il mio tesoro”.

“No, Antonio, niente di tutto questo” disse Francesca, facendo un bel respiro e pensando a chi e cosa l’attendeva. Finalmente suo marito la guardò e, soprattutto, sembrava che ora la stesse ascoltando, quindi senza aspettare oltre proseguì, guardandolo negli occhi: “Mi sono un po’ stancata, è vero, ma sono contenta perché ho lasciato tutto in ordine, i tuoi vestiti sono lavati e stirati e il frigo è pieno di cose da mangiare, crude e cotte, così per i primi giorni in cui sarai solo non avrai problemi”.

“Da solo io? E perché? Vai da tua madre? Sta male?” le chiese.

“No, sta bene per fortuna, e finalmente starò bene anche io, dopo tanto tempo”.

Lui ora la guardava senza parlare, incerto se finire il dolce o iniziare a preoccuparsi.

“Qualche mese fa, proprio al banco della verdura al mercato, ho conosciuto una persona, per caso. La settimana dopo l’ho incontrata di nuovo mentre curiosavo tra i libri usati: ci siamo scambiate qualche parola sui romanzi letti e poi, davanti ad un caffè, abbiamo scoperto di avere molte cose in comune”.

Sentendo queste parole, Antonio poggiò la forchetta sul piatto e strinse il tovagliolo. Francesca continuò: “Mi dispiace, Antonio, me ne vado”. Non aggiunse altro, per qualche istante aspettò che il marito le dicesse qualcosa, si arrabbiasse, sbattesse i pugni sul tavolo o magari si mettesse a piangere, ma niente di tutto questo successe. Antonio era ammutolito, si sentiva solo il suo respiro, leggermente affannato. Francesca allora si alzò da tavola e si mise a sistemare, pulì la cucina, riempì e attaccò la lavastoviglie, tolse e ripiegò la tovaglia. Suo marito era rimasto immobile sulla sedia, ora un po’ ingobbito. Decise di evitare di guardarlo, non voleva farsi prendere dalla compassione. Andò in camera, prese il trolley che l’aspettava dietro la porta e si guardò intorno un’ultima volta. Infine Francesca appoggiò il suo mazzo di chiavi sul tavolo, uscì e chiuse la porta.

Lui si alzò e lanciò furioso le chiavi, che finirono sulla portafinestra rompendone il vetro.  Antonio uscì sul balcone urlando: “Francesca! Dove pensi di andare?”

Si affacciò per vedere se riusciva a richiamarla, ma anche per capire chi fosse quella maledetta persona che si stava portando via la sua vita. Francesca però non aveva sentito il suo richiamo. Antonio fece appena in tempo a vedere che saliva decisa in una macchina scura; il lampione bordo strada fece brillare i gioielli sul polso e sulle dita di una mano femminile che gettava una sigaretta dal finestrino del guidatore. Sul sedile posteriore spiccava, insolente, la macchia fucsia del trolley di sua moglie. Lo stava facendo davvero, se ne stava andando.

 

 

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