Ginestra, la pianta dall’antica tradizione popolare

Pianta tipica della macchia mediterranea, soprattutto delle zone temperate-calde, fin dall’antichità la ginestra veniva usata da fenici, cartaginesi, greci e romani come pianta da fibra, per la produzione di stuoie, corde e più in generale per prodotti artigianali; infatti il suo nome deriva dal greco e significa corda. Sono oltre venti i tipi di ginestra che crescono spontaneamente nel nostro Paese. In questo periodo di fioritura ci invadono con i loro fiori profumati, di un bel giallo, che crescono per lo più nelle radure e nei luoghi aridi, adattandosi a ogni tipo di terreno. Diffusa soprattutto in Calabria, Basilicata e nelle Isole, la pianta sopporta anche i venti salmastri del mare, con il suo fusto legnoso che può raggiungere i due metri. Le radici sono piuttosto delicate, infatti la buca da scavare o il vaso dovranno essere larghi e profondi. Il suo clima ideale è di tipo mediterraneo, con sole e caldo, ma si adatta bene ai nostri inverni. L’impollinazione è affidata alle api e agli altri insetti impollinatori. La concimazione va effettuata due volte l’anno, e rinforzata durante la fioritura. Appartenente alle leguminose (Papilionaceae, dal latino papilionis farfalla), la stessa famiglia di fagiolini, piselli e ceci, a differenza di quest’ultimi i suoi frutti non si mangiano, anzi tutte le parti della pianta sono tossiche per l’uomo, se ingerite.

L’uso della ginestra ha tradizioni artigianali in molti paesi del Mediterraneo, come Grecia, Spagna, Albania e Italia, anche se attualmente il suo uso tessile è limitato in alcune realtà rurali, tra cui località della Basilicata, come San Paolo Albanese e Ginestra e la calabrese Falconara Albanese, tutte località, come è facile dedurre, di origine albanese. Storicamente la lavorazione della pianta iniziava a marzo, con la potatura e veniva affidata agli uomini, poi si passava alla raccolta, bollitura e sfilacciamento della pianta. Ad agosto i fasci di ginestra venivano raccolti in mazzetti, poi bolliti, fatti raffreddare, fatti sfilacciare e ‘rilavorati’ di nuovo in mazzetti che, infilati in rametti della stessa pianta, venivano portati presso i corsi d’acqua, rimanendoci per una decina di giorni, e poi esposti al sole pe far imbiancare le fibre. Da ciò si ricavava una ‘filaccia’ che veniva battuta fino a divenire fili, poi matasse che venivano anche colorate, destinate alla tessitura di lenzuola, asciugamani, ma anche vestiti e coperte. Per tingere di giallo si usavano gli stessi fiori della pianta, il marrone si otteneva con il mallo di noce. Nel linguaggio dei fiori è simbolo di umiltà e modestia.

 (Foto di Wolfgang Brauner da Pixabay)