L’odore del sangue di Goffredo Parise

L’odore del sangue è il romanzo postumo di Goffredo Parise arricchito dalla preziosa peculiarità di essere arrivato a noi lettori senza alcuna rettifica o modifica da parte dell’autore.

Parise lavorò al manoscritto nell’estate del 1979 per poi sigillarlo con la ceralacca e nasconderlo in un cassetto perché ritenuto da lui stesso materiale che “non deve essere pubblicato mai, ma distrutto”. Solo nel giugno del 1986 decise di rileggerlo ma la morte, sopraggiunta qualche mese dopo, non gli diede il tempo di apportare ulteriori rielaborazioni regalandoci un romanzo intimo e potente dove “la battitura porta i segni inequivocabili di una costante e concentrata ispirazione” come dichiara l’amico e critico letterario Cesare Garboli nella prefazione del 1997 per l’edizione Rizzoli.

Questa particolarità de L’odore del sangue ci permette di avere tra le mani un flusso di pensiero scritto di getto, senza correzioni, ritocchi, e ripensamenti, una scrittura talvolta ripetitiva, come nel caso di ripugnata e ripugnante, ma mai ridondante che ci rivela la grandezza dello scrittore vicentino e ci permette di avvicinarci ai suoi più intimi e celati tormenti dell’animo.

«Ho guardato, anzi visto Silvia per la prima volta quando ho avuto la sensazione che mi tradisse.»

Questo l’incipit de L’odore del sangue dove Parise coinvolge senza indugio il lettore utilizzando la prima persona e mettendo subito in chiaro il tormento della gelosia che devasta il protagonista, che ha il significato d’indagare sull’amore e sull’ossessione per Silvia e seguire lo spasmodico desiderio di capire cosa spinga sua moglie, sposata da oltre vent’anni, a vivere una “sbandatina”, cadendo tra le braccia di un giovane venticinquenne della Roma bene, fascista, scapestrato, prepotente, che indossa sempre una giacca di pelle nera e con il cazzo costantemente in erezione, pronto ad entrare in azione.

Due diversi verbi di percezione che permettono di vedere ora ciò che aveva sempre solo guardato e ciò che vede è proprio l’odore del sangue, cioè “l’odore dell’origine della gioventù, della passione, della vita.
Concetto che ripete e rafforza ancora di più nelle diverse pagine dedicate a descrivere, immaginare e a sognare scene di sesso tra Silvia e il suo amante, dove la figura del fallo e dello sperma tornano in modo preponderante perché è certo che rappresentino in modo inequivocabile l’odore del sangue, un odore di vita: “il cazzo cioè la forza tanto propulsiva quanto irruente del cazzo, è il significato della vita stessa […] e poiché il sesso, cioè la vita, ecco l’attrazione verso chi porta con sé la vita e non la morte

 

 

La bellezza e la profondità del romanzo è tutta nel mettere a nudo le fragilità, le debolezze, la noia, le contraddizioni ma anche le certezze di un uomo di cinquant’anni che vede avvicinarsi sempre più la fine della propria vita con la consapevolezza che il meglio sia ormai passato, perché nulla è più potente, vitale e energico della giovinezza.

E questa necessità di tornare indietro ai tempi gioiosi e focosi della giovinezza è concesso a lui come uomo, visto che si concede da anni una relazione con Paloma, una ragazza giovanissima, ma non riesce a controllare, a considerare e ad accettare che le medesime esigenze possano scaturire anche in sua moglie.

Qui emerge un lato spigoloso di Parise che, non solo pensa che “Silvia fosse impazzita, o in quella condizione di squilibrio molto nota, che può provare l’avvicinarsi della menopausa” ma in una scena finale tenta addirittura di strangolarla per poi rientrare in sé ravvedendosi della sua ira fuori controllo. Contraddizioni che possono far accapponare la pelle ad una lettrice del terzo millennio ma che Parise ci rivela con una sincerità e un’armonia tale da farsi perdonare.

Spesso tra le pagine la figura di Silvia appare come una crocerossina, tutta propensa a prendersi cura di lui, a coccolarlo, a viziarlo; una immagine che rappresenta più una figura materna che una reale compagnia di vita. L’amore stesso tra i due viene definito platonico, giustificando così quella mancanza di intesa sessualità in grado di giustificare la sua noia e le sue continue fughe.

La relazione tra Filippo e Silvia è tenuta e trattenuta dal telefono, strumento attraverso il quale riescono a mantenersi in contatto e che rappresenta quel cordone ombelicale che il protagonista maschile non riesce a tagliare. Molto probabile che il telefono sia un simbolo di legame materno e il suo uso quotidiano più vicino ad un dovere filiare che ad una reale necessità della coppia, tanto è vero che è proprio Silvia a interrompere le telefonate, quasi non potesse essere diversamente, come se fosse un gesto la cui decisione spettasse alla figura femminile/materna tanto che a seguito della dipartita di Silvia, Filippo prosegue candidamente la sua vita con Paloma, sposandola e mettendo al mondo dei figli.

L’intensità del flusso di coscienza che Parise offre a Filippo mette in luce un uomo in continuo movimento, incuriosito e impaurito dalla vita e non del tutto consapevole del suo più intimo bisogno di amore sebbene dichiari «io avevo bisogno di essere amato più che di amare, e Silvia di amare più che di essere amata.»

L’amore per Parise è un sentimento primario ma raro, ricercato con bramosia ma allo stesso un legame pericoloso dal quale fuggire. Incisiva la descrizione del primo incontro con Silvia a Piazza del Popolo dove la bocca è “gonfia, dura, etrusca pareva quasi contorta al tempo stesso di sfida, quasi di disprezzo […]. Era bellissima, una cavalla, impennata, pareva di sentire l’afrore delle sue ascelle, dei suoi capelli, del sesso, muscoloso, nervoso e contorto come l’espressione, appunto, ripugnata e ripugnante delle sue labbra protese e imbronciate.”

L’odore del sangue è un inteso gioiello della letteratura italiana e Parise ha regalato ai posteri tutta la contraddizione e la purezza di un uomo del Novecento.

È consigliabile abbandonarsi alle parole di Parisi con la straordinaria definizione di Cesare Garboli che dichiara “E così interroga, e ritorna in eterno sulle stesse domande, con un’ossessione e una ripetitività concentriche e maniacali che danno al romanzo un ritmo da bolero” perché davvero L’odore del sangue è un bolero impetuoso.