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COSA HAI COMBINATO IN MIA ASSENZA? di Laura Avati

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Cosa hai combinato in mia assenza?

di Laura Avati

tratto da Voci Nuove

a cura di Daniele Falcioni

ed. Rapsodia

“Non so se ho fatto bene ad accettare l’invito di Luca, non vorrei dargli false speranze, ma di certo non potevo perdere questa occasione” pensava Eleonora, come al solito in ritardo, camminando di fretta sui tacchi a spillo, che sui sampietrini la facevano sembrare ubriaca. Aveva impostato l’indirizzo sul cellulare per evitare di girare a vuoto. “Il civico è questo” pensò, ed entrò esitante in un piccolo locale desolato, a metà tra un negozio di cianfrusaglie cinesi e un kebab. “Lo sapevo, si è vendicato quello stronzo” disse a denti stretti Eleonora. Era disorientata, il forte odore di spezie le dava la nausea mentre un paio di indiani stavano friggendo delle verdure. Nel vederla suonarono un campanello.

Da quella che sembrava una cella frigorifera uscì un uomo talmente inamidato che le sembrò di avere di fronte Lloyd, il barista fantasma di Shining. “Posso aiutarla, signorina?” disse con voce cavernosa. “Avevo un appuntamento con un mio amico, ma credo di aver sbagliato indirizzo” rispose e sorrise, imbarazzata, Eleonora. Si avviò verso l’uscita.

“O forse no, si accomodi signorina Eleonora” rispose l’ipotetico Lloyd, spostandosi dalla porta e facendole segno di entrare.
Eleonora si ritrovò in un ripostiglio pieno di scope, stracci, detersivi e secchi ammucchiati. “Ma dove diavolo sono capitata? E come fa a sapere il mio nome?” si chiedeva, impaurita e un po’ preoccupata, mentre Lloyd apriva una seconda porta e ad Eleonora sembrò di aver varcato le porte di Narnia. Una cappa di fumo di sigarette e sigari rendeva l’atmosfera ancora più misteriosa, ma il locale era davvero particolare ed affascinante come le avevano raccontato le sue amiche. Sulla destra, un tavolo con una macchina da cucire Singer anni Cinquanta fungeva da tavolino per una coppia di giovani, e la debole fiamma di una candela illuminava un angolo in fondo alla stanza, facendo risaltare una carta da parati con disegni geometrici in rilievo di velluto nero; al centro della sala c’era un pianoforte a coda e un’affascinante ragazza bionda che suonava musica jazz.

Sdraiato su una chaise lounge in fondo al locale, Luca sorseggiava il suo drink; appena vide Eleonora le andò incontro. “Ormai pensavo non venissi più” le disse, dandole un bacio sulla guancia.
Un cameriere con straccali, coppola scozzese e baffi rigirati all’insù li fece accomodare su vecchie poltrone in legno di un cinema, in una zona riservata del locale. Eleonora si sentiva a disagio perché era finalmente riuscita ad entrare al Jerry Thomas, lo speakeasy più famoso di Milano, dove solo su invito di altri tesserati potevi accedere. Stavolta aveva dovuto accettare l’invito di Luca, che più volte aveva declinato sempre con scuse più o meno credibili: quell’uomo non le piaceva molto, era sempre molto misterioso e sulle sue.

Eleonora era nervosa, ma decise di godersi la serata e chiese la carta dei cocktail: era su carta riciclata e usurata, il che le dava un’aria antica, vissuta. Pensò a quante mani l’avevano sfogliata prima di lei; abbozzò un sorriso e sulle guance le si formarono le due fossette che piacevano tanto a Luca.

“Questo posto è fantastico, meglio di come lo immaginavo, a parte l’entrata enigmatica…” disse Eleonora, e aggiunse: “Un po’ mi ero spaventata, ad essere sincera”.
“Sì, è vero, ma mai giudicare dalle apparenze!” rispose Luca.

“Anche tu mi hai sorpresa, stasera: non hai il doppiopetto!” disse Eleonora osservando Luca, che indossava jeans attillati, camicia bianca, giacca di lino azzurra e una pashmina blu al collo che faceva risaltare ancora di più i suoi occhi verdi.
“Non sono in servizio”.

“Mi puoi consigliare qualcosa, visto che qui sembri di casa?”
“Io non bevo cocktail, non mi piace il miscuglio di sapori, preferisco il whisky. Questo giapponese è fantastico, il mio preferito” rispose Luca, mandando giù un altro sorso.
Dopo aver letto tutti i cocktail disponibili e i loro ingredienti, Eleonora decise per un “Improved Aviation”, un cocktail a base di gin e liquore alle viole.

Per una ventina di secondi ci fu un silenzio pesante e imbarazzante, poi per fortuna Lloyd le portò il suo cocktail, servito in una coppa di cristallo con dentro una viola e una scorza di limone.
“Grazie” disse Luca al cameriere, dandogli una pacca sulla spalla. Eleonora ebbe l’impressione che fossero vecchi amici.

“Allora, Luca, raccontami qualcosa. In fin dei conti, si può dire che non so niente di te”.

“Non c’è molto da dire su di me, ho avuto una vita abbastanza normale” rispose Luca. “La cosa più interessante che mi è capitata è stata trasferirmi a Milano e iniziare a lavorare alla New Pack”.
“Cosa ti ha spinto a trasferirti?”

Luca si irrigidì e, dopo averci pensato un po’ su, disse: “Discutevo sempre con mio padre, il mio piccolo paese mi stava stretto”.
Eleonora gli confessò di aver avuto una sola storia importante, con un uomo più grande di lei, finita molto male perché aveva scoperto che era sposato e con dei figli. Luca le confessò cinicamente di essere stato fidanzato più volte, niente di serio, e che non aveva mai sofferto per una donna. Continuarono a chiacchierare e a raccontarsi, finché Lloyd si avvicinò e li avvisò con gentilezza che a breve avrebbero chiuso.

“È stata proprio una bella serata, grazie per avermi invitata” disse Eleonora salutando Luca all’uscita del locale.
“Grazie a te per aver finalmente accettato il mio invito, cominciavo a pensare di non aver nessuna chance” rispose lui.

“Vorrei sdebitarmi con te, magari invitandoti a cena. Che ne dici?” disse Eleonora. “Solo se cucini tu” rispose Luca.
“Ok, ci sto. Ci vediamo in ufficio, buonanotte e grazie ancora” disse, e si allontanò soddisfatta.

Per un po’ di giorni, in ufficio Luca ed Eleonora non si incontrarono: lui era in trasferta all’estero, tuttavia si spedirono qualche e-mail. Quando Luca le fece sapere che era di nuovo a Milano, Eleonora lo invitò a cena da lei. Lui accettò e lei iniziò subito a pensare al menù: voleva stupire Luca con una delle sue ricette speciali, ma non sapeva i suoi gusti e la cosa le metteva ansia. Decise per un filetto di maiale in crosta con mele e prugne, la ricetta che meglio le era riuscita al corso di cucina per single, per cui lo chef le aveva fatto i complimenti.

Luca arrivò puntuale. Entrando rimase sorpreso dal calore e dall’atmosfera che si respirava in quella casa. Notò subito la particolarità del lampadario: era una ruota di bicicletta fissata al soffitto dalla forcella, con le lampadine inserite nel tubolare. “Metti qui il giacchetto” disse Eleonora, indicando l’appendiabiti ricavato da rami inseriti in una cornice incollata al muro.

“Ti ha aiutata un architetto ad arredare casa?”
“No, sono tutte mie creazioni: amo il bricolage e i materiali di recupero. Credo che questi siano per me!” disse Eleonora, prendendo dalle mani di Luca un mazzo di fiori e una bottiglia di vino.
“Sì, scusami, ero stato distratto dalle tue opere d’arte” rispose Luca, adesso rapito da un’altalena attaccata al soffitto il cui seggiolino era stato ricavato da una mezza botte. “Mettiti pure comodo sul divano, dieci minuti e la cena è pronta”.
Anche il divano era una chicca: un assemblaggio armonioso di pallets e comodissimi cuscini beige a righe marroni. Luca, vergognandosi, non poté fare a meno di fare i confronti con il suo divano, ricoperto di cartoni di pizza, lattine di coca-cola e vaschette del take-away.
“Hai davvero talento e buon gusto, Eleonora, credo che ti ingaggerò per sistemare la mia topaia” disse Luca sorridendo, mentre la padrona di casa arrivava dalla cucina con due calici di vino bianco.
“La cena è pronta, ci possiamo mettere a tavola” disse Eleonora, che era un po’ in ansia. Aggiunse: “Ho preparato il mio cavallo di battaglia, spero ti piaccia”.
Il cavallo di battaglia era impiattato molto bene e aveva un profumo davvero invitante. Altro che quei piatti della rosticceria! pensò Luca mentre mangiava lentamente per assaporare al meglio il suo filetto.
“Non solo sei una bravissima arredatrice, sei anche un’ottima cuoca” le disse. “Grazie, sono contenta che ti sia piaciuto. E invece qual è la tua specialità?”

“Il pollo arrosto con le patate del fast food sotto casa, sono bravissimo a comprarlo e a mangiarlo” rispose Luca, guardando Eleonora che rideva. “Per non parlare della pizza e del sushi consegnato direttamente a casa” continuò Luca, “credo di aver acceso il gas di casa solo per fare il caffè”.

“Non ci credo” disse Eleonora, ridendo di gusto.
“Sediamoci sul divano, così finiamo il vino e stiamo più comodi” disse lei sprofondando nei cuscini.
Come delle vecchie pettegole, avevano parlato molto durante la cena, soprattutto di lavoro e dei colleghi, e l’avevano fatto senza risparmiare nessuno!
Eleonora a un certo poggiò ingenuamente una mano sulla gamba di Luca. Inaspettatamente lui si alzò e disse che si era fatto tardi, doveva andare via perché l’indomani aveva una trasferta a Milano. I saluti, frettolosi e freddi, lasciarono Eleonora perplessa.
La trasferta di Luca fu più lunga del previsto e, dopo qualche settimana, Eleonora seppe che si era licenziato dalla New Pack, senza dare il preavviso e senza nessuna spiegazione, lasciando tutti i colleghi molto sorpresi. Lei aveva provato a contattarlo, ma non c’era stato modo: sembrava sparito nel nulla.

“Questo posto è sempre bello ed enigmatico; sono anni che lo frequento e ogni volta noto un nuovo particolare che mi colpisce” disse Eleonora ai suoi amici, osservando una lampada ricavata da una bottiglia di rum e sorseggiando uno dei suoi drink preferiti del Jerry Thomas. Una donna al bancone del bar la stava fissando già da un po’: Eleonora non la conosceva, ma in lei aveva qualcosa di familiare e non riusciva a capire se e dove l’avesse vista prima. Seduta su una poltrona da barbiere con i cuscini un po’ rigidi, Eleonora non riusciva a stare ferma, si muoveva nervosamente, ma la scomodità della poltrona non era l’unico motivo della sua inquietudine: quella donna la turbava. Chiese a Lloyd se la conoscesse, lui rispose: “È una vecchia cliente”. Eleonora prese il suo boulevardier e si avvicinò al bancone del bar. “Ci conosciamo?” chiese alla donna misteriosa. Notò che da vicino era ancora più bella, aveva gli occhi verdi e penetranti.

“Ciao Eleonora” rispose la donna. “Sì, ci conosciamo. Sono… anzi, ero Luca” rispose la donna tutto d’un fiato.
Eleonora sgranò gli occhi, non riusciva a parlare. Bevve un sorso del suo drink sperando che la aiutasse. “Luca?” disse, incredula.

“Sì…”
“Forse è il caso di parlare un po’, ma non qui e non stasera” disse Eleonora, continuando a fissare il suo amico e non credendo ai suoi occhi.
“Mi potresti preparare un’altra cenetta, magari, e ti prometto che questa volta non scapperò” rispose Luca.
“Ok, domani sera, l’indirizzo lo conosci”.

L’indomani, Eleonora cucinava nervosamente e stavolta non per paura che le sue pietanze potessero non piacere, ma perché non le era mai capitata una situazione del genere e non sapeva come comportarsi.
Eleonora accolse il suo ospite con un sorriso imbarazzato.

“Ciao, chiamami Arianna” disse il suo ex collega.
Eleonora non riusciva a staccarle gli occhi di dosso: il suo viso, che già da uomo aveva dei lineamenti dolci, adesso le sembrava ancora più bello. Indossava un tailleur rosso fragola con pantaloni che facevano risaltare le gambe lunghe e armoniose, e poi scarpe con tacco non esagerato; gli occhi verdi, sempre bellissimi, erano messi in risalto da una matita blu e dal mascara, e un filo di rossetto evidenziava le labbra sicuramente rifatte: Arianna era bellissima. Eleonora si guardò di sfuggita allo specchio e si sentì, in confronto, la brutta copia di Cenerentola.
Iniziarono a cenare, “Mi sono sempre sentita uno, nessuno, centomila…” fece Arianna.
“Perché non me ne hai parlato?” chiese Eleonora.
“Volevo farlo quella sera a cena, ma quando hai poggiato la tua mano sulla mia gamba…”
Eleonora si sentì mortificata e si scusò. Prese la mano di Arianna, che stavolta non reagì allontanandola, e restarono in silenzio.

“Non mi dici niente?” chiese Arianna.
“Sì, ti dico che ho bisogno di bere qualcosa di forte” disse Eleonora, capendo che non era certo il momento di fare domande. “Ti va un whisky?” le chiese.
“Sì, grazie, anche se non avrai il mio preferito” disse Arianna, sorridendo e lasciando andare la mano di Eleonora.
“Ho sempre pensato che in te c’era qualcosa di diverso: eri più sensibile rispetto agli altri uomini che avevo conosciuto, più attento ai particolari, gentile…” disse Eleonora, mentre serviva da bere alla sua ospite.
“Cosa hai combinato in mia assenza?” chiese Arianna.
“Vediamo un po’: ho costruito altri pezzi d’arredamento, ho cambiato la macchina e mi sono fidanzata con un uomo di cui sono molto innamorata e che tu devi assolutamente conoscere” rispose Eleonora.
“Questa sì che è una bella notizia!” esclamò Arianna. “Da quanto tempo state insieme?”
“Da quasi tre anni. Si chiama Teodoro, e credo proprio che sia quello giusto! Aspetto solo l’anello e la proposta di matrimonio”.
Chiacchierarono a lungo prima di salutarsi e darsi appuntamento al Jerry Thomas per il venerdì successivo.
Eleonora decise di fare una sorpresa ad Arianna: le voleva far conoscere Teodoro, era sicura che si sarebbero piaciuti.

Arianna era seduta al bancone del bar a chiacchierare con Lloyd. Quest’ultimo, appena vide Eleonora, fece un gesto con la testa alla sua vecchia cliente per indicarle che era arrivata la sua amica. Arianna si girò e, come se avesse visto un fantasma, iniziò a sudare freddo.

“Ciao cara, ti presento il mio Teodoro” disse Eleonora facendo le presentazioni. “Piacere, Arianna” rispose lei, con lo sguardo basso.
Arianna voleva fuggire da quella situazione imbarazzante: Teodoro era stato un suo cliente quando era già fidanzato con Eleonora e, soprattutto, questo era accaduto prima dell’operazione. Teodoro guardò per tutta la serata Arianna insistentemente: c’era qualcosa in quella donna che lo indisponeva, ma non riusciva a capire cosa né perché. La serata non fu certo un successo.

“Che ne dici di Arianna?” chiese Eleonora al suo fidanzato mentre, abbracciati, tornavano a casa.
“Simpatica, ma un po’ scontrosa” rispose lui.
“Sì, stasera era un po’ strana in effetti”.

Arianna era seduta ancora al bar. Chiese un whisky doppio e, torturandosi nervosamente le mani, pensava a cosa avrebbe pensato di lei Eleonora se avesse saputo. Prima dell’operazione aveva fatto di tutto per potersi mantenere. Aveva dovuto lasciare il lavoro, le cure e i trattamenti erano costosi, e quel poco che aveva messo da parte era finito presto. Doveva dirglielo? Eleonora avrebbe accettato e capito? Sarebbero rimaste amiche? Del resto, lei che colpa aveva…

Teodoro, nel frattempo, non riusciva a dimenticare gli occhi di Arianna e aveva cominciato a far caso ad alcune coincidenze. Cominciò a sudare. Decise di tornare al Jerry Thomas, nella speranza di trovare ancora Arianna e chiarire il suo sospetto: su, non poteva essere Luca, era molto tempo che non riusciva più a contattarlo; inoltre, alcuni suoi amici gli avevano detto che era sparito.

Arrivò all’entrata ma, non essendo socio del locale, i ragazzi indiani in cucina non lo facevano entrare. Teodoro cominciò ad innervosirsi, poi passò ad insultare i due ragazzi. Ad un tratto, Arianna uscì da quella che sembrava la porta di una cella frigorifera. Vedendo Teodoro in quelle condizioni, si spaventò.

“Adesso mi dici chi sei!” urlò Teodoro, che si era lanciato contro Arianna come per aggredirla. I due ragazzi indiani cercarono di fermarlo, ma non riuscivano a staccarlo da Arianna.
“Si può sapere cosa vuoi da me?” fece lei.

“Solo sapere chi sei: sei Luca, vero?”
“Sì, ero Luca…”
“Sei tornato per rovinarmi la vita! Vero, brutta puttana?”

In quel momento uno dei due ragazzi indiani colpì con un bastone la testa di Teodoro, che si accasciò a terra. Arianna riuscì a scappare e a prendere un taxi, arrivò a casa che ancora tremava per la paura e per la rabbia.
Il telefono svegliò Eleonora in piena notte. “Pronto?” rispose lei con un filo di voce. “Eleonora, sono Arianna. Ti devo parlare. Sei sola?”

“Sì. Che succede? Ti senti male?” chiese Eleonora, che intanto s’era messa a sedere sul letto.
“Più o meno. Posso venire a casa tua?”
“Sì, certo. Ti aspetto”.

“Cosa hai fatto? Cosa sono quei segni sul collo?” chiese Eleonora ad Arianna appena la vide.
“Non so da dove cominciare, Eleonora. È stato… Teodoro, mi ha aspettata all’uscita del Jerry Thomas e mi ha aggredita”.

“Non ti credo, è impossibile!” fece Eleonora, a cui venne da piangere. Prese a camminare nervosamente avanti e indietro.
“Forse non lo conosci bene neanche tu” disse Arianna.
“Teodoro mi ama, e io amo lui. Non ti permetterò di parlare male di lui”.

“Ho fatto male a venire qui. Chiedi al tuo caro Teodoro la verità e poi decidi tu stessa a chi credere” disse Arianna prima di andarsene. Eleonora era spaventata. Provò a chiamare Tedoro, ma il telefono era spento, probabilmente già dormiva. Riprovò varie volte, ma fu inutile. Si rimise a letto, tuttavia non riuscì più ad addormentarsi. La mattina successiva, Eleonora fece una doccia fredda e bevve un caffè forte prima di uscire per andare a lavorare. Accese come sempre la radio della macchina, già sintonizzata sulla sua stazione preferita. Una notizia data al giornale radio le provocò uno spasmo: una donna era stata mortalmente aggredita nel parco vicino a casa sua; grazie alle telecamere di sorveglianza, l’aggressore era stato riconosciuto e arrestato. Non avevano dato le generalità della vittima e neanche dell’aggressore. Eleonora, inebetita, provò a chiamare per l’ennesima volta Teodoro, ma il cellulare era ancora spento. Provò a chiamare Arianna, ma il telefono squillò a vuoto più e più volte.

Foto di Edar/85 images da Pixabay.jpg

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