Passata la Giornata contro la violenza sulle donne risuonano e stridono, tra le varie cifre sul tema, i dati del VII Rapporto Eures sul femminicidio in Italia: oltre 90 donne vittime nel 2020 che confermano il trend degli ultimi tempi di una donna uccisa ogni tre giorni con un’impennata delle chiamate al 1522, numero gratuito e attivo 24h su 24 del servizio pubblico per richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking, che ha riportato un 73% di chiamate in più durante il lockdown. Dal Rapporto risultano stabili le cifre dei femminicidi in famiglia, tra cui quelli di coppia, con un 89% rispetto all’85,8% del 2019, che si registra come il ‘terreno’ più rischioso per le donne. Negli ultimi venti anni infatti, 1628 sono state le vittime tra le coniugi, partner o ex.
Tra tutte le violenze commesse sulle donne, fisiche, psicologiche, sessuali, economiche e riferite allo stalking oggi faremo il focus sul Revenge Porn, un reato in costante aumento. La legge denominata ‘Codice rosso’ (Legge 69/2019) punisce, all’articolo 612 del codice penale, la diffusione di foto, video intimi via web e cellulari senza il consenso dei protagonisti, molto spesso donne, per lo più adolescenti e giovani, atti a distruggerne reputazione e dignità. Prendo spunto dalla terribile vicenda che ha coinvolto recentemente una maestra nel torinese il cui ex fidanzato ha diffuso, senza il suo consenso, immagini e video privati a sfondo sessuale su una chat di amici che le hanno portato anche il licenziamento da parte della dirigente scolastica. Una delle tante, troppe, storie orrende vissute dalle donne.
Con il ‘Revenge Porn’ (in italiano vendetta porno), l’autore diffonde immagini e video a contenuto sessualmente esplicito, senza il consenso delle donne, una ritorsione di chi non ha il rispetto per l’altra persona con lo scopo di deriderla, denigrarla e metterla alla pubblica gogna, arrecandole così enormi e gravi disagi e danni psico-fisici. La legge punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 5.000 a 15.000 euro chi, dopo averli realizzati, li invia, li consegna e li trasmette senza il consenso delle interessate. La diffusione illecita tramite social network, internet o smartphone oltre alle pene detentive, riconosce responsabilità anche a chi condivide i contenuti ricevuti da terzi, come l’invio nelle chat di gruppo. La vittima, entro sei mesi dalla scoperta della diffusione di tali immagini/video può denunciare il fatto ai Carabinieri o alla Polizia; se invece si tratta di una persona disabile o in stato di gravidanza questi termini non sussistono.
Tabù culturali, sessuali e maschilisti sono dietro a questi atti che riempiono purtroppo la nostra società che, invece, dovrebbe impegnare maggiore attenzione, responsabilità e serietà nella realizzazione e nell’attuazione di un modello culturale basato sulla parità di genere fin dai banchi di scuola, per insegnare alle nuove generazioni un modo sano, consapevole e consenziente di vivere la sfera intima e sessuale. (Foto di Bingo Naranjo da Pixabay)
Sociologa e formatrice, romana, ma da tanti anni a Pomezia, mi occupo di
comunicazione, viaggi e scienze sociali soprattutto su tematiche inerenti l’infanzia, l’adolescenza e le questioni di genere.