Perché Ranucci ha torto quando parla di ciclabili e commercio

Quando ho letto in questi giorni il post dell’ottimo giornalista di Report, Sigfrido Ranucci, su una pista ciclabile della nostra Città che addirittura minerebbe la stessa esistenza di un noto esercizio commerciale, devo dire che ho strabuzzato gli occhi.

L’ho riletto una seconda e una terza volta e ora ho deciso di rispondergli.

Inizio da ciò che è evidentemente e oggettivamente sbagliato, immagino perché la situazione gli è stata raccontata male o lo stesso Ranucci ha capito male: la strada dove insiste questo negozio non è stata chiusa, come si legge sul suo post, ma resa a senso unico, come voluto dagli stessi commercianti, e arricchita da una ciclabile.

Questa via non solo è stata riorganizzata e messa in sicurezza, ma oggi è transitabile dalle auto, dalle bici e dai pedoni, nella convinzione che la strada è una risorsa pubblica limitata che non può essere più pensata, alle soglie del 2021, solo per le quattro ruote.

Solo fino a qualche mese fa la stessa, proprio in corrispondenza dello stesso negozio, tra l’altro servito nelle immediate vicinanze da molti parcheggi non a pagamento, era preda della doppia e tripla fila, in spregio a qualsiasi regola del vivere civile e del codice della strada.

Il post di Ranucci parla addirittura di “mancanza di visione della classe politica”: forse era meglio la visione di prima, quella di tutti con la macchina e la parcheggio dove e come mi pare? oppure la visione della ciclabile come di un vezzo di qualcuno a danno di altri?

A Ranucci, ma anche a tutte le testate locali che stanno rimbalzando il suo post in queste ore, propongo alcuni spunti di riflessione:

    • Pomezia, come Roma, non è come i Paesi Bassi, ma nessuno ricorda che ad esempio la città di Amsterdam, fino agli anni Settanta, aveva gli stessi problemi nostri, se non peggiori, in quanto a congestione stradale e inquinamento atmosferico. Poi, sfruttando un evento negativo, le crisi petrolifere degli anni ’70, decise di diventare autonoma dal punto di vista energetico e, pian piano, divenne la Città della mobilità sostenibile che oggi è conosciuta in tutta il mondo;
    • L’emergenza Coronavirus può diventare, così come per i Paesi Bassi lo furono le crisi petrolifere, l’elemento di rottura necessario alle nostra Città e all’Italia per accelerare su una serie di riforme della mobilità, anche al fine di concepire (finalmente) la bicicletta come mezzo di trasporto complementare agli altri;
    • Laddove esiste un sistema di mobilità sostenibile ci sono anche automobilisti “più felici”, perché più persone usano la bicicletta per gli spostamenti brevi, meno traffico ci sarà e più “comoda” e sicura sarà la vita di quelli che le quattro ruote devono per forza utilizzarle;
    • Esiste un documento molto interessante, presentato qualche mese fa dalla società neerlandese Decisio e frutto di un’iniziativa congiunta dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi e dell’Osservatorio della Bikeconomy in Italia, che si chiama “CoVivere: la mobilità urbana oltre il Covid-19”. Questo studio ha l’intento di promuovere forme di mobilità alternative a quelle cui eravamo abituati prima del Covid, andando a risolvere gli annosi problemi di traffico e inquinamento. Un documento agile, molto intuitivo, utile non solo a tecnici e amministratori ma anche ai semplici cittadini per avere una panoramica completa di ciò che è accaduto negli anni nei Paesi bassi, cercando di riproporre nel nostro Paese le migliori soluzioni adottate all’estero, evitando così errori grossolani e velocizzando le tempistiche di adeguamento delle nostre città (https://www.bikeitalia.it/…/CoVivere_Finale-compressed.pdf);
    • Parlare di mobilità sostenibile e di ciclabili significa affrontare una sfida culturale e lunga che, come tale, deve essere accompagnata da adeguata informazione e comunicazione (non esattamente da post come quello di Ranucci);
    • Il compito degli amministratori locali è anche quello di seguire dei buoni maestri per affrontare temi e scelte ormai non più rinviabili;
    • Le piste ciclabili non si possono fare (ce lo dovrebbe suggerire almeno il buon senso) tutte insieme, ma attraverso una precisa programmazione e un’attenta analisi del territorio si progettano per step, rammagliando pezzo per pezzo i tratti che vengono realizzati. Quindi, non esistono ciclabili che collegano il “nulla con il nulla”;
    • La bicicletta, dati alla mano, è il mezzo più efficiente per gli spostamenti urbani, fino a 10km;
    • Un’automobile sposta in media 1 o 2 persone, pesa una tonnellata e mezza, disperde oltre il 70% della energia utilizzata in calore, occupa circa 10mq di suolo pubblico, nelle ore di punta ha una velocità media inferiore ai 10 km/h, comparabile con quella di una camminata veloce;
    • La bicicletta è un veicolo (art. 47 Codice della Strada) e al pari degli altri veicoli ha diritto ad avere una quota dello spazio pubblico sulla strada. Non è scritto da nessuna parte che le auto debbano occupare la quasi totalità del suolo pubblico;
    • Spesso, realizzando le ciclabili, si sottrae alle auto “solo” quello spazio eccessivo o illegale di cui nel tempo si sono appropriate (doppia fila, sosta irregolare e così via).

Com’è possibile, quindi, che l’esercizio commerciale d’eccellenza di cui si parla nel post di Ranucci chiuda per una pista ciclabile?

Possibile che fare 30 mt a piedi, parcheggiando l’auto finalmente in modo civile, piuttosto che dentro al negozio, costituisca un ostacolo insormontabile per chi davvero ha voglia di servirsi di questa bottega e dei suoi buonissimi prodotti?

Spostarsi in bicicletta, tra i tanti vantaggi, migliora le condizioni fisiche e psicologiche di chi lo fa, elimina lo stress, l’aggressività tipica dei veicoli a motore, e quindi riduce i costi sanitari.

E ancora: migliora la qualità dell’aria, fa risparmiare soldi, aiuta le persone a “vivere” finalmente i propri spazi e la propria città.

Caro Sigfrido Ranucci, l’aspettiamo per una salutare pedalata nella nostra bella Città: le faremo vedere che nessuna strada è stata chiusa e soprattutto avremo modo di fermarci, lungo il tragitto, senza creare il tipico “caos automobilistico”, nelle tante botteghe ed esercizi commerciali esistenti.