La legalità e il buon senso

C’è da augurarsi che siamo tutti d’accordo nell’affermare che la legalità è un valore fondamentale. E che il rispetto della legalità è un segno distintivo di civiltà. Il contrario, infatti, l’illegalità, esprime una condizione di violazione di una norma di legge.

Ma, in un Paese in cui la produzione normativa, da sempre, è numericamente esagerata, le prescrizioni sono incomprensibili o contraddittorie e il sistema giudiziario è paralizzato, fino ad apparire “ingiusto”, possiamo affermare che sia possibile sostenere il principio di legalità?

In una situazione che presenta queste caratteristiche si corre il rischio di svuotare il contenuto di un principio così importante, per ridurlo a semplice evocazione di qualcosa di lontano il cui rispetto viene demandato agli strati meno abbienti. Perché quelli che ne hanno la possibilità, sanno come aggirare leggi o adempimenti ingiusti o persino come sottrarsi ai divieti. E magari lo fanno sentendosi paladini della legalità.

È evidente che se le leggi fossero prodotte avendo l’accortezza dei valori da perseguire e la loro applicazione fosse chiara ed equa, si potrebbe tranquillamente pretenderne il rispetto, proprio ricorrendo al principio di legalità.

Ma, già diversi anni fa Cicerone, (nel “de officis”)  aveva messo in guardia i romani sulla pretesa che regolazione delle relazioni umane potesse essere affidata integralmente al diritto, coniando il famoso brocardo “summum jus, summa iniuria”.

Quella espressione non vuol dire soltanto che esistono ambiti che il diritto non può regolare e che laddove si spinga oltre rischia di produrre l’effetto opposto (l’ingiustizia), ma soprattutto che esiste un ambito della vita sociale che ha bisogno di “altro” affinché possa essere regolato.

Possiamo persino affermare che il diritto è una componente fondamentale del sistema sociale, ma non l’unica. Non si può affidare, infatti, al diritto il rispetto per le persone deboli o più anziane, né gli atteggiamenti tipici della buona educazione o delle buone relazioni con i vicini o i colleghi. E nessuno potrebbe negare che anche questi gesti siano fondamentali nella vita quotidiana. Ma a promuoverli e regolarli non è il diritto, nè potrebbe esserlo. C’è dunque un ambito importante della vita sociale nel quale il diritto non può entrare: è il “buon senso”.

È quell’ambito nel quale si gioca l’efficacia e la stabilità delle relazioni umane, il grado di civiltà di ciascuno di noi e soprattutto la capacità di orientare le nostre azioni verso i valori del vivere comune (che possono essere cosa diversa rispetto ai risultati e agli obiettivi).

Ma c’è un rapporto tra legalità e buon senso?

Il dilemma è proprio questo: se il buon senso non si traduce in “regole” (anche non scritte), rischia di non riuscire a imporsi e non generare quel tessuto sociale condiviso (qualcuno lo chiama “religione sociale”) di cui tutti abbiamo bisogno; ma se il sistema delle regole non è ispirato al buon senso si corre il rischio di avvertirlo come inutile o persino dannoso.

Per fare un esempio si può prendere come riferimento la storia raccontata da Hannah Arendt nel libro “la banalità del male”. In quel libro l’autrice scandalizzò tutti per avere rivelato che l’ufficiale nazista, Eichmann, pur essendo autore di gravi crimini contro l’umanità, non aveva commesso alcun atto in contrasto con le leggi vigenti all’epoca. Le azioni commesse nei campi di concentramento, infatti, era tutte  messe in atto in conformità a disposizioni od ordini. Quindi nessun atto illegittimo era stato compiuto.

In quel caso, pur trattandosi di gravi crimini contro l’umanità, di cui oggi conserviamo memoria, l’applicazione del “principio di legalità” non sarebbe servito, perchè si trattava di difesa di “valori” e non di “adempimenti”, quindi l’ambito del buon senso.

La realtà ci fornisce anche altri esempi più convincenti: se una persona entra dentro casa e mi deruba, non posso certamente farmi giustizia da solo (sarebbe contro la legge e contro il buon senso). Ma se denuncio il furto e le procedure giudiziarie si dilungano fino a prescrivere ogni azione, mi trovo nella condizione di non ottenere alcun risarcimento, nemmeno invocando la legalità a mio sostegno.

La legalità è qualcosa di complesso che non può essere inteso come il mero rispetto delle leggi, ma come la combinazione tra la norma e la capacità di applicarla nei confronti di tutti. Se si stabilisce che il furto è un reato, è corretto che chiunque sottragga e si appropri di un bene altrui sia sanzionato. Ma se ciò avviene soltanto per alcuni o per i più deboli, inevitabilmente, chi ne risente è il principio di legalità.

Abbiamo esempi recenti: Sul sito dell’Autorità anticorruzione è possibile reperire un provvedimento che sanziona un’amministrazione comunale per avere “copiato” il piano anticorruzione. In questo caso è bene evidenziare che nessuna norma prescrive la sanzione laddove il piano sia stato copiato (fatta eccezione per un regolamento di ANAC, la cui emanazione non è prevista da alcuna norma di legge), ma soprattutto non si ha notizia di eventuali azioni giudiziarie nei confronti di soggetti del territorio per reati di tipo corruttivo.

Quest’ultimo è un caso in cui il principio di legalità viene persino invocato in contrasto con le leggi vigenti e conseguendo finalità che potrebbero rivelarsi ingiuste, cioè contrarie al buon senso.

Sia chiaro che non si vuole sostenere che la legalità non sia necessaria. Al contrario, è fondamentale, ma, come amava ripetere Don Milani, non si possono fare parti uguali fra disuguali.

Ciò vuol dire che la migliore difesa della legalità consiste nella corretta produzione normativa, che renda le disposizioni chiare e applicabili e nella certezza della sanzione nei confronti di chi trasgredisca.

Se questi due elementi non sono presenti si corre il rischio che la legalità, al pari dell’antimafia o dell’antifascismo, diventi un tema da sventolare come una bandiera per schierarsi dalla parte dai valori, indipendentemente da ciò che si faccia realmente.

(intervento in occasione della Notte della legalità organizzato dal Comune di Condrò – ME)