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la politica, i programmi, le persone

By Santo Fabiano on 12 Marzo 2018
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la politica, i programmi, le persone

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La politica dovrebbe essere il luogo delle “soluzioni” e invece, mai come oggi, rappresenta l’ambito dei problemi più gravi. Non occorre (mi auguro) risalire a Platone o Aristotele per coglierne gli aspetti di valore che deve rappresentare per la collettività.

La definizione di “politica” contenuta nel dizionario Treccani recita così: “la scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica;  b. Più concretam., l’attività svolta per il governo di uno stato, il modo di governare, l’insieme dei provvedimenti con cui si cerca di raggiungere determinati fini, sia per ciò che riguarda i problemi di carattere interno (p. interna), sia per ciò che riguarda le relazioni con altri stati (p. estera, p. internazionale)”. c. Con riferimento alla natura dei varî problemi presi in considerazione: p. economica, lo studio dei diversi orientamenti che può assumere l’intervento statale nella vita economica e dei loro probabili effetti, e, in partic., l’analisi dell’attività economica statale e dei criterî a cui è ispirata.

I significati sono diversi, ma la questione (senza volere competere con il dizionario) si può ridurre nella capacità di interpretare i bisogni, di definire le priorità di intervento e progettare le azioni da intraprendere. Le fasi del “policy making” sono proprio queste: 1) la capacità di leggere le emergenze del contesto territoriale; 2) la definizione di un programma che esprima le priorità da prendere in considerazione; 3) il presidio delle modalità di azione allo scopo di raggiungere le aspettative (obiettivi).

Si tratta di un’azione tanto nobile, quanto complessa. E’ nobile perché attiene a quell’aspetto più elevato della democrazia: “la delega”. Non tutti ne colgono pienamente il valore. Amministrare non vuol dire “comandare” o “dirigere”, ma mettersi al servizio. L’equivoco è molto diffuso ed è rafforzato dopo l’introduzione dell’elezione diretta che ha portato le persone “più fragili” e “meno attrezzate dal punto di vista etico” (o le più bisognose di stima) a pensare che, essendo stati votati dal “popolo”, siano destinatari di una sorta di illuminazione divina che li ponga al di sopra di tutto e di tutti, tradendo così la funzione primaria: la rappresentanza.

La politica, oltre che “nobile” (non è un caso che i parlamentari vengono chiamati onorevoli) è anche complessa. la complessità risiede nel fatto che si tratta di governare sistemi sociali che per loro natura sono l’esito di interazioni diverse e complicate che non si possono comprendere o risolvere in modo semplicistico, cona qualche calcolo o con le percezioni personali. Il contesto sociale affonda le radici nel mondo delle relazioni, dell’impresa, dell’economia, dei costumi, delle speranze individuali e collettive, delle opportunità, della qualità della vita, ecc. Insomma, tutti quegli ambiti in cui si manifesta la “vita sociale” che non possono essere interpretati in modo frettoloso o semplicistico, né in modo personale. Sarebbe una grave presunzione quella di una persona che pretenda di comprendere, da solo, tutti i problemi del territorio o peggio di ambire a risolvere da solo tutti i problemi.

E’ per questa ragione che servono i “programmi“. Questi rappresentano un “patto” con sé e con gli altri perchè, in modo trasparente e condiviso, manifestano le priorità avvertite e la direzione che si intende dare alla “politica. Il programma esprime quel passo “maturo” che porta le persone a passare da “io” a “noi”. Il riferimento all’io è tipico di chi celebra se stesso, si prende come riferimento e interpreta ciò che lo circonda come “utile a sé” o “inutile a sé”. Anche i programmi migliori sembrano utili finché portano “vantaggio a sé”, per diventare inutili quando ciò non accade più. E’ più maturo, invece, chi è in grado di fare il passo verso “noi”, cioè verso una visione condivisa della realtà. Non è un passo facile. Il mondo è pieno di piccoli Marchesi del Grillo (quello che diceva… “perché io so’ io…” e sono questi che impediscono la crescita di una visione progettuale e collettiva.

E’ comprensibile l’attrazione verso i propri bisogni, anzi, umano. Ma non ha nulla di “politico”. Badare a sé stessi, ai propri bisogni, al proprio futuro, ecc… è quello che ci aspettiamo da qualsiasi cittadino, anche dal peggiore, ma non da chi fa politica. A meno che, questi, non scelga (e ce ne sono diversi) un partito politico senza scrupoli, di quelli che adotta un programma qualsiasi per poi esercitare l’arte delle alleanze pur di governare, nell’interesse suo e dei suoi amici.

La “politica”, quella vera, specie se ispirata da partiti o movimenti che si caratterizzano per i valori etici e la distanza dalle tentazioni del potere, dovrebbe essere scevra dai disegni personali e dalle mire individuali o di gruppo. Dovrebbe essere orientata al raggiungimento degli obiettivi comuni, al perseguimento degli ideali condivisi, all’affermazione del primato della collettività sui bisogni individuali.

Ma in questo disegno “ideale” della politica e dei programmi, c’è una variabile determinante: le persone.

Indubbiamente, per fare politica servono le persone. Ma l’esperienza recente dimostra che quando le persone, piuttosto che sentirsi al servizio di un programma si sentono “simboli” e (invertendo il significato) sentono gli altri come soggetti al proprio servizio, il pasticcio è fatto.

Il panorama politico è pieno di partiti che hanno come simbolo il cognome di qualcuno o che, pur mantenendo il simbolo sono al servizio di qualcuno in particolare. Ed è pieno anche di chi, magari, ha trovato comodo e utile cavalcare valori e simboli per raggiungere posizioni di governo che, una volta raggiunte, vengono messe da parte e disconosciute per passare alla celebrazione di sé.

E’ proprio questo il vero ostacolo alla politica e alla crescita sociale: il personalismo. E’ una deriva pericolosa che compromette ogni speranza di riscatto sociale o futuro. Chi si assume la responsabilità di un programma politico e di un gruppo, infatti, si sente in dovere di assicurare la coerenza con i valori condivisi e assicura la continuità, confidando nella partecipazione di tutti al conseguimento del programma, che ciascuno può riconoscere come “proprio”. Chi, invece, porta se stesso come programma, oltre manifestare uno spettro limitato di interessi, non si sente legato a progetti specifici, se non a quelli che gli consentano il proprio successo, non cerca cittadini motivati da valori o aspettative, ma compari con cui condividere percorsi brevi e senza prospettive, oltre a quelle personali.

Non è una differenza di poco conto. Servono persone che sappiano fare politica rimanendo fedeli ai valori e agli ideali dei programmi, anche a costo di rinunciare a vantaggi personali. Altrimenti… sarebbe come prima e … non ci sarebbe nulla di nuovo a cui dare fiducia.

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