Thursday, March 28, 2024
  • Home
  • Rubriche
  • I Corpi estranei – Filippo Timi e l’integrazione che non c’è

I Corpi estranei – Filippo Timi e l’integrazione che non c’è

By Redazione on 2 Aprile 2014
0 796 Views

I Corpi estranei – Filippo Timi e l’integrazione che non c’è

image_pdfimage_print

Presentato in concorso al Festival di Roma e snobbato con troppa leggerezza dalla giuria (considerando poi chi ha vinto) arriva finalmente “I corpi estranei” del quasi esordiente Mirko Locatelli.

Un film coraggioso e complesso nella sua pur apparente semplicità, difficile da gestire per lo spettatore che viene spinto nell’abisso dell’attesa e della speranza di guarigione di un Ospedale pediatrico.

Antonio (meravigliosamente interpretato da Filippo Timi) è un padre premuroso e in difficoltà che porta dall’Umbria a Milano il figlio di nove mesi in un ospedale oncologico per un’operazione delicatissima.

Gettato in quel limbo di attesa che gela il sangue e ferma ogni altro moto di vita, Antonio dormendo, mangiando e soffrendo in ospedale nello spazio riservato ai parenti, conosce una famiglia tunisina, che cerca quasi maniacalmente con lui contatti che si riveleranno impossibili.

ICORPIESTRANEIscena icorpi-estraneiposter icorpiestraneifilippotimiScene di ordinaria diffidenza si potrebbe dire, con Antonio che sospettoso e disperato non riesce a gestire questa misteriosa e piccola comunità araba per lui assolutamente incomprensibile, che oscilla tra minaccia e disponibilità.

Una macchina da presa sempre addosso a Filippo Timi, abile a gestire le emozioni narrative con grandissima abilità e che riesce ad istaurare un rapporto con il neonato che fa la parte di suo figlio, così viscerale e tenero da commuovere ad ogni scena.

La sua performance però non basta da sola perché il pessimo suono in presa diretta e la regia troppo asciutta e preoccupata di non scadere nel pietismo ci restituiscono comunque un film a metà, che non convince, non lievita e quasi si richiude in se stesso in quello che (forse) voleva dirci, ma non ci dice.

Opera quella di Locatelli quindi troppo timida ed è un peccato davvero perché il tema poteva regalare molto di più, scavando in una integrazione mai avvenuta ma solo sopportata, frustrata e respinta anche da quel mondo nel mondo che la comunità araba ha costruito a Milano e che il protagonista, pur repellendola, è costretto ad accettare.

La religiosità di Antonio così bigotta che contrasta con quella ascetica del coprotagonista, Jahouer Brahim, bravo davvero nel trasferire quell’aurea di mistero e di diffidenza, fulminando con sguardi profondi che vengono da terre così lontane da non riuscire mai a comunicare con il povero Antonio.

Neanche la sofferenza e la malattia riescono ad accomunare veramente, si è sempre figli di un Dio diverso comunque e l’integrazione, che può sembrare a parole possibile, in quell’angusta sala di aspetto dell’Ospedale può rivelarsi in tutta la sua utopia .

Mauro Valentini

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *