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Cinquanta sfumature di retorica e il nuovo “Razzismo”

By Santo Fabiano on 6 Marzo 2015
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Cinquanta sfumature di retorica e il nuovo “Razzismo”

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Si racconta che il boss mafioso Luciano Liggio, alla domanda del magistrato “secondo lei la mafia esiste?” abbia risposto, sorridendo: “se esiste l’antimafia, …!”

Erano i tempi in cui le indagini erano orientate alla dimostrazione di un disegno unitario che collegasse le azioni criminose, all’interno della stessa organizzazione, appunto, la “mafia”. E si cercavano conferme dagli stessi protagonisti. Certamente il magistrato è rimasto sorpreso dall’evidenza retorica del boss: se avete creato l’antimafia, sicuramente la mafia esiste, per vostra stessa ammissione!

Sembra un banale gioco di parole, invece è un vecchio trucco retorico che oggi, in cui conta l’apparenza e la spettacolarizzazione, va molto di moda. L’uso delle parole giuste aiuta ogni causa, soprattutto la meno nobile, e riesce a nascondere le finalità che, altrimenti non sarebbero “presentabili”

E così, ogni prepotente che vuole apparire democratico si dichiara “antifascista”; così come ogni corrotto che vuole agire indisturbato, magari all’interno di un’istituzione, si manifesta come paladino dell’”antimafia”; così come un imprenditore senza scrupoli, per fare profitto, giocando sulle emozioni dei luoghi comuni, si lancia nelle cooperative sociali e nell’assistenza; così come saltimbanchi e tromboni possono trovare protezione nelle associazioni d’arma per tinteggiare di fini nobili i propri affari loschi; così come aspiranti politici, in cerca di protagonismo, manifestano in pubblico commozione e interesse per le vittime del racket, ma sostengono partiti e personaggi che vivono di traffici e affari, nella speranza di fare carriera.

Non c’è bisogno di essere ciò che si manifesta. Tutto è diventato mercato e, come si fa in borsa, basta comprare il titolo, quello dell’antimafia o dell’antifascismo o del pacifismo, per sentirsi dalla parte giusta, qualunque cosa si faccia.

Si passa dall’etica all’etichetta! Basta una buona denominazione per assicurarsi la protezione di un sicuro “nascondiglio sociale” dove mascherare qualunque attività poco nobile. Basta una buona denominazione per trasformare in attivi paladini della legalità e della correttezza, anche i delinquenti più incalliti.

Provate a immaginare, per esempio, che gli esponenti di un partito che si autodefinisce di “sinistra” o “democratico” non lo siano effettivamente; provate a immaginare che l’antimafia possa mai essere considerata un luogo di potere o l’occasione per mascherare interessi di parte; provate a immaginare che un’associazione antiracket possa mai avere al suo interno persone legate al potere e a partiti con leader o esponenti inquisiti o condannati per corruzione; provate a pensare che un’associazione d’arma, possa mai essere composta da persone che non abbiano alcun legame con i valori e le tradizioni del passato e che, con l’occasione, facciano affari e acquisiscano potere.

Sono tutte affermazioni impossibili. Lo sono dal punto di vista retorico. E questo basta per creare oscuri nascondigli di oscuri disegni. E basta persino a considerare “nemico” chi ne rivela le trame.

Un tempo si affermava che la mafia rappresentava il “contropotere” che si opponeva alle  istituzioni e da queste era combattuta. Oggi non c’è più bisogno di tutto questo: un posto di comando, un partito democratico e antifascista, un’amministrazione comunale, un’associazione per la promozione sociale, una cooperativa sociale, sono i luoghi migliori per organizzare “indisturbati” reti di affari e profitti, persino con il vantaggio di amministrare direttamente risorse pubbliche, “nell’interesse della collettività” e con il “piglio” e le insegne della istituzioni, alle quali, inevitabilmente si deve rispetto.

Soltanto gli stupidi o gli appassionati di romanzi antichi si aspettano di vedere i mafiosi con la coppola sulla testa e il “marruggiu” o la “lupara” a portata di mano. Ed è semplicistico pensare che i mafiosi siano quelli che chiedono il “pizzo” o che minacciano apertamente stragi o disastri.

I “malamente” (come direbbero a Napoli) dei giorni nostri, sono eleganti e ben vestiti e non minacciano nessuno, ma si limitano a condizionare gli appalti e gli affidamenti,  escludendo chi non si allinea o “consigliando” fornitori e favorendo gli amici e gli amici degli amici.

Tutto ciò, nell’aura di un elegante “buonismo istituzionale” dai toni pacati e dalle migliori intenzioni esteriori. Con l’uso della retorica delle buone intenzioni, delle “buone etichette” e della negazione di ogni addebito.

Lo ha svelato sapientemente Papa Francesco quando ha fatto riferimento alle “cooperative che si prostituiscono” nascondendo dietro fino nobili, propositi di profitti personali. Lo ha testimoniato, qualche giorno fa quel funzionario della Camera di Commercio, paladino dell’antimafia, colto proprio mentre chiedeva il “pizzo” che affermava di combattere. Lo testimoniano, ogni giorno, quegli amministratori che dietro le insegne delle istituzioni e delle tradizioni di partito o di associazioni fanno affari. Ma lo fanno senza la fatica di doverlo riconoscere, affermando il contrario e persino manifestando contro la mafia, contro la corruzione e visto che ci sono, contro il razzismo e il fascismo (che non guasta mai).

In verità sono seguaci di una nuova forma di “razzismo”,  quella dei seguaci di Razzi che, di fronte all’interlocutore intento a interrogarlo, in giacca e cravatta risponde “fatti i cazzi to’.

 

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